venerdì 13 gennaio 2017

Credere

Un giorno un'amica mi disse che, se ci si rivolge alla Madre Terra, questa ti ascolta. Allora cosa ci impedisce di farlo? Forse quando cominciamo a credere un po' meno in noi stessi allora operiamo un meccanismo al contrario, tutto quello che desideriamo ci appare impossibile e quindi ci allontaniamo dalle infinite possibilità che ci dona il contatto con quello che ci circonda, e così anche con lo spirito della Natura. Questo fa si che si crei un vero e proprio distacco, e quindi un isolamento, che ci fa sentire inadeguati di fronte ad ogni ostacolo o anche solo ad una qualsiasi novità; ma non è il mondo che ci circonda a tenerci a distanza, senza accorgercene siamo stati noi a rifuggire da quel naturale contatto che ci può rendere più sicuri, ma soprattutto attenti, pronti a cogliere ogni nuova opportunità, oppure una semplice piccola gioia che può far sbocciare ogni giorno il nostro cuore di una nuova speranza. 

T.M.

mercoledì 9 novembre 2016

Broken

è strana la sensazione quando senti che qualcosa dentro di te si è rotto. Non ne sei del tutto consapevole, eppure cominci a camminare come se le gambe non funzionassero veramente, e non ti portassero dove vuoi tu. La testa non va nella direzione dei tuoi pensieri e i tuoi pensieri partono per la tangente, abbandonando ogni logica. Quando qualcosa ti si rompe dentro, ti sembra di rimanere in sospeso nell'aria, galleggiando in attesa di affondare, con uno stato di terrore latente che ti pervade, eppure conservi un'apparente tranquillità che ti rende nervoso, arrabbiato con il mondo intero; ma è tutto nella tua testa, e te ne rendi conto solamente quando vedi che, intorno a te, nessuno nota nulla di strano, mentre tu senti una tempesta che si avvicina, anzi, è già lì, e con il suo rumore assordante copre ogni altro suono, copre ogni tuo pensiero, e raffredda ogni tua emozione. 
Quando qualcosa dentro di te si rompe puoi ancora camminare, perchè sai di dover camminare, perchè il vento ti spinge, seppur in ogni direzione, ti lancia attraverso la folla rischiando di farti travolgere, e mentre tu tenti di mantenere la rotta ti rendi conto che i tuoi piedi non fanno più presa sotto di te, e la fragile inconsistenza del tuo percorso si fa sempre più terrificante; come una lastra di ghiaccio che scricchiola ad ogni passo, ed ogni scheggia che salta ti mette in allerta, ma non sai come fermarti, non sai dove aggrapparti. 
Poi esce un suono, e ti accorgi che è la tua voce. Calda, reale, quasi consistente, le sue parole assumono di colpo una forma sensata e ti rendi conto che le tue emozioni sono più chiare osservate ad una certa distanza, perchè le tue parole delineano con un tratto più chiaro ogni loro sfumatura, e forse non ti fanno più così tanta paura. La crepa da cui usciva tutto quel vento forse non è poi così grande, e può persino essere riparata; ormai i tuoi occhi non riescono nemmeno più a guardarci attraverso, ed il palmo della tua mano si adatta perfettamente alla sua forma, tanto che con un solo tocco la puoi coprire, calmando in un solo istante ogni tumulto che agitava il tuo cuore. In quell'istante ti rendi conto che puoi tornare a respirare, non più annegato in un mare d'insicurezza, ma baciato di nuovo dal sole di una nuova prospettiva che ti era solo sfuggita di vista. 

T.M.
 

mercoledì 27 luglio 2016

Mia cugina Rachele - Daphne Du Maurier

Ho iniziato questo libro all'oscuro di ogni informazione sulla scrittrice; certo conoscevo quello è che considerato il suo capolavoro, "Rebecca, la prima moglie", ma non ero al corrente di nessuna opinione in merito al suo modo di scrivere ed alla sua popolarità. 
Inoltre mi sono approcciato a questa nuova lettura dopo un periodo di letture un po' deludenti, e quindi anche abbastanza timoroso di trovare qualcosa che non attirasse a sufficienza la mia attenzione; ma non appena ho iniziato il primo capitolo sono stato catturato da questo splendido romanzo. I personaggi, lo stile, l'ambientazione, l'intreccio, tutti gli elementi che lo compongono hanno risvegliato in me un interesse quasi ossessivo, ed è quindi diventata una di quelle letture che non puoi far a meno di abbandonare, che ogni volta che metti da parte non vedi l'ora di ritornare a recuperare per proseguire la storia. 
La vicenda di Rachele ci fa pensare a qualcosa di abbastanza scontato, eppure man mano che si procede con la lettura emergono sempre nuovi elementi che mettono in dubbio quello che pensiamo di credere. Più la storia prosegue e più noi entriamo in un mondo dove i personaggi si scontrano e si fondono, si dividono e si ritrovano, appaiono furbi e poi indifesi, e di nuovo calcolatori, ma forse solo vittime delle emozioni; insomma questi personaggi ci fanno venire il dubbio che non sappiano nemmeno loro da che parte stanno, un po' vittime degli eventi e un po' architetti delle loro storie, come il progetto che viene messo in piedi per ridare un nuovo volto alla casa in cui vivono i protagonisti, una casa ricca di ricordi, eppure bisognosa di tante cure, una casa che vorrebbe restare bloccata nel suo passato ma che allo stesso tempo esige di proiettarsi verso un futuro nuovo, assieme ai suoi inquilini. 
Ma come si suol dire, non è tutto oro quel che luccica, e basta mettere un piede in fallo per far crollare ogni apparenza, e ciò che poteva sembrare irrecuperabile diventa assolutamente possibile, come quello che poteva sembrare un veleno per l'anima può essere in realtà solamente un grande affetto a lungo rifiutato. 
Questo libro mostra come possiamo credere di vedere ciò che vogliamo, anche quando è perfettamente evidente di fronte ai nostri occhi, l'unico problema è quando decidiamo di accettarlo, buono o cattivo che sia, affrontandolo di petto, senza mettere in mezzo nè il cuore nè la ragione. 
Voto con un bel 10, mi sento veramente di considerarla una lettura magnifica. 

My Cousin Rachel 1952 Trailer

giovedì 2 giugno 2016

Il canyon delle ombre - Clive Barker

Ho resistito per 400 pagine, poi sinceramente è stato troppo per me. Nelle ultime 200 pagine ho saltellato qua e là (e credetemi che la comprensione del testo non ne ha risentito minimamente, un po' come quando si guarda "Beautiful" in TV e non si perde mai il filo della trama perchè comunque i personaggi non combinano gran che e la trama non procede così velocemente) arrivando alla fine e facendomi un'idea del procedere degli avvenimenti che concludevano questa storia tanto assurda quanto banale.
Il mio difetto è di non saper lasciare andare i libri quando non si meritano la giusta attenzione, intendo quando veramente ci si rende conto che non hanno il valore che ci si aspetta e non quando invece si è scelto solo il momento sbagliato per leggerli. 
Non ho molte parole da spendere si questo libro, anche perchè credo ne abbia spese fin troppe l'autore per scriverlo, parole inutili che si poteva risparmiare, ed utilizzate nemmeno nel modo più brillante in cui si poteva farlo. Lo hanno paragonato a King, ma francamente anche il peggiore "King" che ho letto (e mi riferisco alla "Storia di Lisey", che stranamente in alcune parti mi ha ricordato questa trama) è stato molto più interessante di questo testo, soprattutto per il modo in cui era scritto, mentre qui si trovano una serie di banalità, un'accozzaglia di personaggi e di fatti, spesso slegati, a volte insignificanti, ma il più delle volte ridicoli. 
Arrivato alla 400esima pagina l'assurdità degli eventi era arrivata ad un punto tale che non ho potuto non aprire gli occhi e dirmi che non si meritava dell'altro tempo da parte mia. Mi aveva prosciugato fin troppo. 
Mi dispiace da un lato, perchè Barker non è un cattivo autore, ma in questo testo sembra essersi perso, e persino dove King si perde nei meandri della sua mente allucinata riesce comunque a mantenere una certa lucidità, per lo meno una coerenza d'insieme che determina un certo ritmo della storia, come una colonna sonora, che forse non giungerà mai ad una fine coerente, ma di sicuro ti accompagna alla conclusione senza deluderti troppo durante il percorso. 
Voto con un 4. 

T.M.

giovedì 26 maggio 2016

Ci sono momenti

Ci sono momenti in cui ci sentiamo invincibili, ma di solito durano poco, giusto il tempo di osservarci bene, e rivalutare la situazione. Questi brevi momenti però si lasciano dietro come una scia di profumo, qualcosa che ci rimane addosso, e della quale ci liberiamo con molta più difficoltà. E' forse la sensazione di aver trascurato un particolare, un dettaglio che probabilmente non era così insignificante. Perchè se osserviamo il soffitto della nostra stanza e riusciamo a vedere oltre, se riusciamo a sentire il profumo delle emozioni e ci lasciamo scuotere da queste, per quanto delicatamente, oppure violentemente a volte, significa che probabilmente un dono ce l'abbiamo, ed è il dono di sentire, quello che siamo e quello che vibra attorno a noi; è per questo che, magari anche solo per un istante, riusciamo a metterci in armonia con quello che ci circonda, ed in quel momento riusciamo a "capire", a vedere oltre, a dare valore a ciò che sembra insignificante, e quindi acquistiamo valore anche noi, diventando più forti, più sicuri, più decisi di quanto ci saremmo mai aspettati di essere. Ma se questo momento esiste davvero, se non l'abbiamo sognato, non ci abbiamo fantasticato, allora quando svanisce cosa dovremmo fare per tenerlo con noi? Assolutamente nulla. Perchè quel momento non se ne va, ma resta dentro di noi; quella sensazione deriva solamente dal fatto che abbiamo aperto gli occhi e ci siamo guardati effettivamente dentro. 

T.M.

martedì 2 febbraio 2016

Elementi

Si compongono dentro la mia testa, come fossero piccole particelle di qualcosa che vuole assumere un'identità; crescono e poi spariscono, ma ritornano e si moltiplicano, come idee confuse attanagliano i miei sensi. Sono elementi di un presente che non riesco a codificare, strumenti sconosciuti di un'arte che mi dovrebbe appartenere. 
Mi guardo volteggiare sopra l'insensatezza di tutte queste battaglie e non comprendo neppure più la necessità di far uscire queste parole che mi gelano il sangue, e quindi ammutolisco, nel vano tentativo di calmare questo vorticare di inutili luci che non fanno altro che creare ombre sulle mie certezze. 
Osservo una spirale di ricordi che ormai non diventa altro che un feticcio inutile, tempo sprecato che scivola tra le pieghe di un presente stanco, pesante, dove i colori sbiadiscono sotto la luce della speranza. 
Allora provo solo a guardare di fronte a me, l'immagine sfocata  di quello che mi aspetta, con l'obiettivo di trovare un sentiero che mi allontani da tutta questa incertezza.

T.M.

lunedì 1 febbraio 2016

L'usanza del paese - Edith Wharton

Sono qui finalmente a parlare di questo romanzo che ha accompagnato molte delle mie serate ultimamente, e nonostante ritenga siano troppe nella media dei miei tempi di lettura abituali, posso solo incolpare me stesso e la poca costanza che ho messo nel proseguire abitualmente la lettura, ma per il resto il romanzo merita ogni istante che gli ho dedicato.
Se non sapessi che questo romanzo è stato scritto nei primi anni del novecento direi che rispecchia benissimo le situazioni che possiamo trovare comunemente nei romanzi di Candace Bushnell, come "New York sexy", sebbene innegabilmente scritto meglio, ammettiamolo, la prosa della Wharton non ha nulla di paragonabile a quella della Bushnell, per quanto anch'essa possa essere una brava narratrice. Resta il fatto che questa caratteristica ne fa davvero una lettura per tutti, anche per chi pensa che un romanzo dell'autrice di "L'età dell'innocenza" possa essere un obiettivo troppo alto; la Wharton è in grado di parlare a tutti, e lo fa in modo estremamente intrigante e seducente, nonchè splendido e raffinato.
L'autrice ci porta all'interno dei più bei salotti newyorkesi facendoci respirare l'aria snob che potremmo respirare ora in un qualsiasi attico della grande mela. E ci trascina poi nella pomposa Parigi dei primi del novecento, che poco si discosta dall'altezzosa metropoli che ci possiamo trovare di fronte ora. Insomma, sono luoghi "conosciuti" che ci fanno respirare aria di contemporaneità, sebbene la storia ci trasporti comunque in una dimensione parallela dove le usanze del paese sono "leggermente" diverse, ma non meno rigide di quelle che potremmo trovare ora.
Undine, la protagonista, si muove in ogni ambiente con un'apparente sicurezza che trasuda un costante terrore di apparire....nel modo sbagliato. Undine, un personaggio terribilmente ostinato, eppure con un fascino perverso; la sua figura ci ammalia non tanto per la sua bellezza quanto per la spudoratezza con cui si immerge in qualsiasi situazione mettendo davanti ad ogni cosa i propri desideri materiali, facendola apparire la cosa più normale che esista al mondo. Eppure Undine appare un personaggio estremamente fragile, ci sono momenti in cui la si vorrebbe proteggere, specialmente quando, in presenza del vecchio amico Elmer Moffat, abbandona ogni resistenza e si spoglia di ogni sua maschera per mostrare veramente il suo spirito dichiaratamente materialista. E' forse in questi momenti che la si apprezza meglio, perchè non mente a nessuno, soprattutto a se stessa, mentre nel resto del romanzo Undine appare come una persona che costruisce il proprio futuro sulle menzogne, quelle bugie che in qualche modo la possono rendere più affascinante agli occhi altrui, ma che invece a lungo andare non fanno che logorare il sentiero che ha deciso di percorrere, rischiando di farla precipitare nel bel mezzo del nulla che si è creata attorno.
Ci sarebbe da scrivere pagine e pagine su questo personaggio, ci sarebbe da dilungarsi sulla sfrontatezza che usa nei confronti dei propri genitori, oppure il quasi totale disinteresse nei confronti del figlio, oppure la freddezza con cui tratta ogni suo amante una volta ottenuto quello che credeva di desiderare. Insomma, Undine fa parlare di sè, anche quando si vorrebbe relegarla in qualche angolo nascosto dal quale non possa nuocere a nessuno, perchè questa donna riemerge ancora più forte di prima, perchè il suo ricordo, anche per chi l'ha solo intravista, non può essere cancellato; Undine è una donna che sa come far parlare di sè, e nonostante non si sia mai adeguata all'usanza del paese, nonostante abbia sempre fatto di tutto per comprenderla ma gli sia sempre sfuggito l'elemento essenziale che le permettesse di conciliare la sua vita con quella delle persone che le stavano attorno, alla fine questa donna non può far altro che accettare se stessa e prendere coscienza che solo nel proprio ambiente, e restando fermamente sè stessi, si può vivere, altrimenti si è sempre condannati a sopravvivere, perchè l'uomo non è un animale che sa adattarsi facilmente ai nuovi ambienti, soprattutto l'uomo Americano.
Voto con un 9,5 e lo consiglio a tutti, come una lettura spassosa, ma allo stesso tempo decisamente profonda.

T.M.

lunedì 28 dicembre 2015

Irrational man - Woody Allen

Negli ultimi anni Wody Allen ci ha abituati a vari cambiamenti di orientamento nel suo cinema, il quale non è più fatto di semplici fatti quotidiani esposti sul grande schermo al fine di porci alcune semplici ma fondamentali domande sulla nostra vita senza per questo riuscire a trovarne una risposta una volta usciti dalla sala; no, negli ultimi anni questo regista ha focalizzato la sua attenzione anche sulla regia, sul modo di esporre i fatti, sul montaggio, su un'attenta recitazione, piuttosto che su un'interessante struttura narrativa. Sia ben chiaro, elementi sempre presi uno alla volta e sfruttati nei suoi film quasi come sperimentazione, che ha portato a grandi risultati, come "Blue Jasmine", un film assolutamente ben strutturato, dove forse possiamo far coesistere due importanti elementi come l'ottima recitazione ed un sapiente montaggio (cose che non sempre si riescono a trovare contemporaneamente nei film di Woody Allen); ma anche a pessimi esempi come "Sogni e delitti", film decisamente noioso, dove si nota una carico eccessivo di aspettative da parte del regista forse dovuto al desiderio di raggiungere alti livelli dopo il successo di "Match point". 
Insomma, non mi soffermo ad analizzare pro e contro di ogni suo film altrimenti potremmo restare qui vent'anni, anche perchè considerando che produce un film all'anno, e praticamente solo il 30% è degno di nota, non vale la pena soffermarsi a sezionare ogni aspetto delle sue pellicole, ma basta valutarne l'impressione generale, il primo impatto se vogliamo, anche perchè le sue pellicole principalmente parlano di questo, delle cose semplici, di quelle che ci piacciono a pelle, e quindi credo che in tal modo andrebbero viste e valutate. Ecco, "Irrational man" probabilmente è troppo complicato, o meglio, forse vorrebbe esserlo ma finisce con l'essere noioso. L'impressione che mi ha dato questa pellicola è stata che mancava prima di tutto ogni traccia dello humor classico che ci si aspetta di trovare nei film di Woody Allen, e con questo non voglio dire che se manca allora non possiamo considerarlo un buon film (anche in "Match point" lo humor non era preponderante, ma comunque lo si sentiva presente, in qualche modo era nell'aria, e lo si percepiva guardando il film), ma in questo caso in particolare il film è pervaso da una sorta di languore che lo penalizza, come un'agonia (quella del protagonista?) che si trasmette allo spettatore che non riesce a capire dove effettivamente voglia arrivare il protagonista, che poi protagonista effettivamente non lo sembra, anzi, sembrano meglio strutturati i personaggi che gli ruotano attorno, specialmente la ragazza che diventa sua amante. E quindi il film vacilla tra dramma e assurdo, tra tensione e disappunto, e ci si trova a domandarsi se effettivamente abbia un senso trovare una profondità in qualcosa che si propone come profondo (la storia si costruisce attorno alla filosofia, ai concetti filosofici sull'esistenza dell'uomo e del suo scopo) oppure sia più semplice abbandonarsi all'assurdità di una vicenda dove il protagonista sembra accartocciarsi su se stesso perchè non sa più effettivamente chi è, anche quando crede di saperlo. 
Questo film mi ha lasciato parecchio perplesso, e probabilmente andrebbe riguardato (quando mai serve riguardare due volte un film di Woody Allen per capirlo!), e non so se questo sia una specie di pregio o di difetto, anche perchè probabilmente alla fine scoprirei che non c'era nulla da scoprire, o da capire, più di ciò che mi è stato trasmesso da questa prima visione. 
Per ora quindi mi sento di valutarlo con un 6, anche se credo che questa sufficienza sia leggermente alta per il valore effettivo della pellicola, ma c'è da tenere conto degli attori, e non sono per niente una cosa da sottovalutare in questo caso, e loro si meriterebbero un 8 pieno. 

T.M.

lunedì 23 novembre 2015

Hunger Games - La trilogia cinematografica

Arrivato all'ultimo capitolo della trilogia cinematografica (anche se con mio rammarico non ho ancora letto i libri originali) posso finalmente esprimere la mia opinione su questa saga che mi ha incuriosito in questi ultimi anni. 
Devo dire che francamente il mio interesse è sceso in modo esponenziale dal primo capitolo all'ultimo, e già questo non è stato un buon segno, ma ovviamente non potevo permettermi di non vedere tutti i film per potermi fare un'idea complessiva della storia e comunque del progetto cinematografico. In qualche modo, arrivato alla fine, posso dire che, se si riguardano di seguito, i quattro film si può apprezzare di più la complessità della vicenda, che non nella frammentarietà data dallo spazio che intercorre tra l'uscita di un film e l'altro.  Quattro capitoli perchè ovviamente come tutte le grandi saghe che si rispettano, negli ultimi anni soprattutto, l'ultimo capitolo deve essere
necessariamente diluito in due film, così da mantenere sempre alto l'interesse dello spettatore (?) e prolungare l'attesa per scoprire finalmente qual è la conclusione di una vicenda piena di imprevisti e colpi di scena. A volte questa "attesa" però diventa decisamente snervante, e fa calare il desiderio, più che aumentarlo, e questa è stata la sensazione che ho provato io man mano che la saga procedeva e i film uscivano al cinema. 
Nel complesso posso dire che la spettacolarità del primo film e soprattutto l'interesse per una vicenda abbastanza fuori dal comune hanno fatto molto presa in me, tanto da spingermi a continuare nella visione della saga; procedendo però mi sono reso conto che la complessità degli elementi inseriti facevano in modo che la storia avesse bisogno di una "lettura" più continuativa, e la divisione in tre capitoli (e quattro film!), almeno per quanto mi riguarda, non ha aiutato molto nella comprensione. E' vero che i temi affrontati e il desiderio di mantenere un personaggio principale, quello della Ghiandaia Imitatrice, come custode di una morale più alta rispetto a quella di tutto il sistema che la circonda, tranne forse del suo compagno e amico di avventure, Peeta Mellark, con il quale sembra avere un rapporto alla pari, fa si che si apprezzi il messaggio più ampio che il film vuole mandare. Se vogliamo si può dire che sia un messaggio anche abbastanza leggibile, poco confuso in quella serie di battaglie che popolano questi tre capitoli, ma pur sempre un messaggio, rivolto ovviamente prima di tutto ai giovani, i destinatari primi di questa serie di libri, che però si fa un po' "trito e ritrito", e che nella conclusione tende a diventare quasi banale e melenso, perdendo della forza originaria, quella del primo capitolo, dove i sentimenti di sincerità e lealtà non erano offuscati dai mille stratagemmi di depistaggi creati per sviluppare una trama ricca di colpi di scena che tendono più all'effettaccio che non al valore simbolico che perduri. 
Un film che parla di lealtà dunque? Direi che alla conclusione sembra che tutto si riduca più a un'dea generale di ribellione più che di forza e lealtà contro il potere negativo di un dittatore. Una ribellione che si riflette tanto nella testardaggine di Katniss quanto nella rivolta dei Distretti, ma che sembra gradualmente perdere la distinzione dalla sua accezione negativa per diventare un'idea confusa offerta gratuitamente senza una vera e propria spiegazione, quasi come un grido di rivolta senza uno scopo. 
Io ho avuto quest'impressione, ma non perchè il messaggio non ci sia, ma solamente perchè a parer mio è stato sviluppato in modo troppo articolato e confuso, cercando più una carica di avventura epica più che la ragionata riflessione su situazioni delicate che possono riguardare ognuno di noi, specialmente adesso. 
In generale mi sento di non poter votare questa saga con più di un 6,5, anche se devo ammettere che per l'idea del capitolo iniziale sarei partito da un bel 8. 

T.M.
 

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