lunedì 28 dicembre 2015

Irrational man - Woody Allen

Negli ultimi anni Wody Allen ci ha abituati a vari cambiamenti di orientamento nel suo cinema, il quale non è più fatto di semplici fatti quotidiani esposti sul grande schermo al fine di porci alcune semplici ma fondamentali domande sulla nostra vita senza per questo riuscire a trovarne una risposta una volta usciti dalla sala; no, negli ultimi anni questo regista ha focalizzato la sua attenzione anche sulla regia, sul modo di esporre i fatti, sul montaggio, su un'attenta recitazione, piuttosto che su un'interessante struttura narrativa. Sia ben chiaro, elementi sempre presi uno alla volta e sfruttati nei suoi film quasi come sperimentazione, che ha portato a grandi risultati, come "Blue Jasmine", un film assolutamente ben strutturato, dove forse possiamo far coesistere due importanti elementi come l'ottima recitazione ed un sapiente montaggio (cose che non sempre si riescono a trovare contemporaneamente nei film di Woody Allen); ma anche a pessimi esempi come "Sogni e delitti", film decisamente noioso, dove si nota una carico eccessivo di aspettative da parte del regista forse dovuto al desiderio di raggiungere alti livelli dopo il successo di "Match point". 
Insomma, non mi soffermo ad analizzare pro e contro di ogni suo film altrimenti potremmo restare qui vent'anni, anche perchè considerando che produce un film all'anno, e praticamente solo il 30% è degno di nota, non vale la pena soffermarsi a sezionare ogni aspetto delle sue pellicole, ma basta valutarne l'impressione generale, il primo impatto se vogliamo, anche perchè le sue pellicole principalmente parlano di questo, delle cose semplici, di quelle che ci piacciono a pelle, e quindi credo che in tal modo andrebbero viste e valutate. Ecco, "Irrational man" probabilmente è troppo complicato, o meglio, forse vorrebbe esserlo ma finisce con l'essere noioso. L'impressione che mi ha dato questa pellicola è stata che mancava prima di tutto ogni traccia dello humor classico che ci si aspetta di trovare nei film di Woody Allen, e con questo non voglio dire che se manca allora non possiamo considerarlo un buon film (anche in "Match point" lo humor non era preponderante, ma comunque lo si sentiva presente, in qualche modo era nell'aria, e lo si percepiva guardando il film), ma in questo caso in particolare il film è pervaso da una sorta di languore che lo penalizza, come un'agonia (quella del protagonista?) che si trasmette allo spettatore che non riesce a capire dove effettivamente voglia arrivare il protagonista, che poi protagonista effettivamente non lo sembra, anzi, sembrano meglio strutturati i personaggi che gli ruotano attorno, specialmente la ragazza che diventa sua amante. E quindi il film vacilla tra dramma e assurdo, tra tensione e disappunto, e ci si trova a domandarsi se effettivamente abbia un senso trovare una profondità in qualcosa che si propone come profondo (la storia si costruisce attorno alla filosofia, ai concetti filosofici sull'esistenza dell'uomo e del suo scopo) oppure sia più semplice abbandonarsi all'assurdità di una vicenda dove il protagonista sembra accartocciarsi su se stesso perchè non sa più effettivamente chi è, anche quando crede di saperlo. 
Questo film mi ha lasciato parecchio perplesso, e probabilmente andrebbe riguardato (quando mai serve riguardare due volte un film di Woody Allen per capirlo!), e non so se questo sia una specie di pregio o di difetto, anche perchè probabilmente alla fine scoprirei che non c'era nulla da scoprire, o da capire, più di ciò che mi è stato trasmesso da questa prima visione. 
Per ora quindi mi sento di valutarlo con un 6, anche se credo che questa sufficienza sia leggermente alta per il valore effettivo della pellicola, ma c'è da tenere conto degli attori, e non sono per niente una cosa da sottovalutare in questo caso, e loro si meriterebbero un 8 pieno. 

T.M.

lunedì 23 novembre 2015

Hunger Games - La trilogia cinematografica

Arrivato all'ultimo capitolo della trilogia cinematografica (anche se con mio rammarico non ho ancora letto i libri originali) posso finalmente esprimere la mia opinione su questa saga che mi ha incuriosito in questi ultimi anni. 
Devo dire che francamente il mio interesse è sceso in modo esponenziale dal primo capitolo all'ultimo, e già questo non è stato un buon segno, ma ovviamente non potevo permettermi di non vedere tutti i film per potermi fare un'idea complessiva della storia e comunque del progetto cinematografico. In qualche modo, arrivato alla fine, posso dire che, se si riguardano di seguito, i quattro film si può apprezzare di più la complessità della vicenda, che non nella frammentarietà data dallo spazio che intercorre tra l'uscita di un film e l'altro.  Quattro capitoli perchè ovviamente come tutte le grandi saghe che si rispettano, negli ultimi anni soprattutto, l'ultimo capitolo deve essere
necessariamente diluito in due film, così da mantenere sempre alto l'interesse dello spettatore (?) e prolungare l'attesa per scoprire finalmente qual è la conclusione di una vicenda piena di imprevisti e colpi di scena. A volte questa "attesa" però diventa decisamente snervante, e fa calare il desiderio, più che aumentarlo, e questa è stata la sensazione che ho provato io man mano che la saga procedeva e i film uscivano al cinema. 
Nel complesso posso dire che la spettacolarità del primo film e soprattutto l'interesse per una vicenda abbastanza fuori dal comune hanno fatto molto presa in me, tanto da spingermi a continuare nella visione della saga; procedendo però mi sono reso conto che la complessità degli elementi inseriti facevano in modo che la storia avesse bisogno di una "lettura" più continuativa, e la divisione in tre capitoli (e quattro film!), almeno per quanto mi riguarda, non ha aiutato molto nella comprensione. E' vero che i temi affrontati e il desiderio di mantenere un personaggio principale, quello della Ghiandaia Imitatrice, come custode di una morale più alta rispetto a quella di tutto il sistema che la circonda, tranne forse del suo compagno e amico di avventure, Peeta Mellark, con il quale sembra avere un rapporto alla pari, fa si che si apprezzi il messaggio più ampio che il film vuole mandare. Se vogliamo si può dire che sia un messaggio anche abbastanza leggibile, poco confuso in quella serie di battaglie che popolano questi tre capitoli, ma pur sempre un messaggio, rivolto ovviamente prima di tutto ai giovani, i destinatari primi di questa serie di libri, che però si fa un po' "trito e ritrito", e che nella conclusione tende a diventare quasi banale e melenso, perdendo della forza originaria, quella del primo capitolo, dove i sentimenti di sincerità e lealtà non erano offuscati dai mille stratagemmi di depistaggi creati per sviluppare una trama ricca di colpi di scena che tendono più all'effettaccio che non al valore simbolico che perduri. 
Un film che parla di lealtà dunque? Direi che alla conclusione sembra che tutto si riduca più a un'dea generale di ribellione più che di forza e lealtà contro il potere negativo di un dittatore. Una ribellione che si riflette tanto nella testardaggine di Katniss quanto nella rivolta dei Distretti, ma che sembra gradualmente perdere la distinzione dalla sua accezione negativa per diventare un'idea confusa offerta gratuitamente senza una vera e propria spiegazione, quasi come un grido di rivolta senza uno scopo. 
Io ho avuto quest'impressione, ma non perchè il messaggio non ci sia, ma solamente perchè a parer mio è stato sviluppato in modo troppo articolato e confuso, cercando più una carica di avventura epica più che la ragionata riflessione su situazioni delicate che possono riguardare ognuno di noi, specialmente adesso. 
In generale mi sento di non poter votare questa saga con più di un 6,5, anche se devo ammettere che per l'idea del capitolo iniziale sarei partito da un bel 8. 

T.M.
 

martedì 17 novembre 2015

Gli ultimi saranno ultimi - Massimiliano Bruno

Mi stupisce la freddezza con cui il pubblico ha accolto questo film. Mi stupisce principalmente perchè al di là della storia, tremendamente attuale, la bravura degli attori sa mantenere il film ad un livello estremamente alto, dove la passione scaturisce non tanto dalle situazioni che vengono a crearsi quanto dal trasporto con cui le vicende vengono vissute dai personaggi. I sentimenti, i movimenti, gli sguardi, perfino i silenzi di questi personaggi muovono qualcosa che difficilmente riesce a lasciare indifferenti, per questo mi domando come mai il pubblico in generale abbia valutato così scarsamente questo lungometraggio e ancor di più mi sorprende come mai le sale in cui è stato proiettato siano state così vuote. Ne avrà risentito per una scarsa pubblicità forse, o per l'eccessiva pubblicità dei suoi concorrenti (forse il pubblico si sarà preservato per Star Wars, e posso capirlo in questo periodo di crisi in cui il prezzo dei biglietti per andare al cinema anzichè agevolare il pubblico sembra allontanarlo volontariamente, 8€ per un biglietto! Fortunatamente io ho avuto la possibilità di godermi questo film ad un prezzo agevolato e quindi sono stato più che felice di averne approfittato). 
Tornando al film, ha parecchi punti a suo favore, che vanno anche oltre alla bravura dei suoi interpreti, infatti non è da trascurare i temi che sono stati inseriti al suo interno, che seppur non approfonditi vanno a fare da contorno ad una vicenda centrale dove la tensione è solo latente, ma dove ogni "briciola" alimenta la valanga che si preannuncia fin dall'inizio. 
Non me la sento di svelare qui i temi che vengono toccati perchè comprometterei la visione del film per chi non l'avesse ancora visto, ma dirò solamente che la delicatezza con cui vengono analizzate alcune situazioni, ed il modo pacato con cui lo fanno i personaggi, senza buonismo ma anche senza superficialità, aiuta il pubblico ad accoglierle nel proprio quotidiano, come se potessero far parte anche del nostro presente, ed in modo assolutamente indiscriminato. Perchè i "drammi" che ognuno di noi affronta sono solo nostri, e nessuno può sapere veramente cosa proviamo, eppure ci sono situazioni in cui tutti sembrano esserne partecipi, soprattutto in un piccolo paesino, sembra che tutti debbano sapere tutto, ma a volte la verità è che semplicemente certe cose a noi stanno bene così come sono, anzi, siamo capaci addirittura di amarle, e anche quando queste situazioni non ci stanno bene le affrontiamo a nostro modo. C'è un momento però in cui qualcosa scatta, e forse sentiamo che anche noi dovremmo reagire, sentiamo che forse subire il giudizio degli altri, o ancor preggio la loro compassione ci mostrano che la reazione potrebbe essere l'unico modo ci salvarci, di farci sentire ancora vivi. 
Questo film dimostra che ognuno di noi sa benissimo la posizione che occupa, e a volte la accettiamo, arrivando addirittura ad amarla. Questa nostra posizione però, così duramente accettata non può essere ulteriormente minata, perchè quando non si chiede di più, è difficile accettare di ottenere di meno, ed è lì che scatta la reazione, una reazione di conservazione, in cui il nostro io cerca di mantenere per lo meno la sua condizione per sopravvivere. 
Voto con un 8,5 perchè l'intensità che ho visto in queste interpretazioni, e la profondità con cui certe emozioni sono state trasmesse al pubblico, raramente l'ho trovata in film che avevano le pretese di essere dei capolavori. 

T.M.

lunedì 2 novembre 2015

Il segreto di Caspar Jacobi - Alberto Ongaro

Sottilmente perverso. Queste sono le prime parole che mi vengono in mente per descrivere questo romanzo subito dopo la fine della sua lettura. Amo molto Ongaro come autore, in quanto mi sono innamorato del suo romanzo "La taverna del Doge Loredan" che ha saputo ammaliarmi come pochi romanzi di autori italiani. Il romanzo che mi appresto a recensire però, nonostante sia stato molto apprezzato e paragonato a "La taverna del Doge Loredan", non mi ha dato minimamente lo stesso "brivido". 
Come nel tradizionale sistema narrativo di Ongaro si rimane ammaliati dalle vicende, dai personaggi e dalle parole che li uniscono, eppure in questo romanzo non ho trovato lo stesso spirito "burlone" ma allo stesso tempo "mistico" che l'autore aveva saputo trasmettermi negli altri romanzi, e in particolare ne "La taverna del Doge Loredan" per l'appunto. Diciamo che in generale il romanzo procede bene, lasciandosi leggere, ma il tutto rimane tremendamente slegato per ricomporsi (circa) alla fine, ed anche abbastanza sbrigativamente ed in modo anche abbastanza "distaccato", ossia lasciando tutto in mano al lettore. Ok, l'autore ha forse voluto un po' prenderci in giro, quello che ha sapientemente fare in ogni suo romanzo, però qui la cosa gli è riuscita un tantino peggio; sarà l'ambientazione (New York), sarà il periodo, saranno dei personaggi che non si caratterizzano mai lungo tutta la storia, come se il romanzo si stesse scrivendo nello stesso istante in cui viene letto. E' decisamente apprezzabile lo sforzo di creare una suggestione di questo tipo nel lettore, qualcosa che ti permetta di confrontarti con il testo senza subirlo passivamente, eppure allo stesso tempo il sistema utilizzato risulta tremendamente disorientante (volontariamente? boh).
Posso valutare il romanzo solo attraverso due sensazioni: quella percepita durante la lettura, e quella in seguito alla conclusione del romanzo. Nel primo caso mi sono ritrovato in mezzo ad un labirinto di messinscene spesso poco interessanti e quindi "deludenti" per lo sviluppo di un romanzo, anche se poi mi sono reso conto che non era la logica quella che l'autore cercava in questo romanzo, bensì la "non logica", una specie di "mondo delle meraviglie" che scaturisce direttamente dalla testa di un romanziere. La seconda sensazione invece, quella della conclusione, è stata principalmente di sollievo, ma non per aver portato a termine il romanzo, anche perchè come ho detto si fa leggere tranquillamente, anche se non dà grandissime soddisfazioni a livello di "sorprese", ma per il fatto che non appare poi così scontato, e riesce in qualche modo a riscattarsi stravolgendo ulteriormente il piano narrativo e ribaltando chi legge verso l'ipotesi più banale, ma allo stesso tempo la meno ovvia, proprio perchè nasce da un percorso tortuoso "assurdamente logico". 
In poche parole non è semplice valutare questo romanzo, eppure riesce a catturarti in qualche modo, e non ti lascia insoddisfatto. Posso quindi tranquillamente valutarlo con un bel 7, e sarei felicissimo di leggere altri pareri di persone che decideranno di affrontare questa lettura, così da poter in qualche modo confrontarmi con altre "percezioni" di questa storia. 

T.M.

venerdì 23 ottobre 2015

Sconosciuti in treno - Patricia Highsmith

Immancabile: l'angoscia. Come in ogni suo libro la Highsmith riesce a trasmettermi un'ansia e un'angoscia tali che mi sconvolgono sotto ogni punto di vista. Ovviamente un buon segno, che indica quanto i suoi romanzi siano efficaci dal punto di vista della suspense. 
In questo caso la tensione è davvero tanta, ma soprattutto la frenesia dei personaggi avvinghia talmente il lettore da fargli vivere le stesse sensazioni. La narrazione parallela dei due protagonisti fa si che si passi da uno stato di sanità mentale ad uno completamente squilibrato, o annebbiato, a seconda delle circostanze, e mentre la narrazione prosegue queste due sensazioni si fondono, facendo quasi credere al lettore che il protagonista diventi uno solo tanto sono diventate simile le sensazioni dei due. Non posso dire molto di più perchè rischierei di rovinare la parte più bella del libro, ossia lo scoprire come si svolge la storia e come travolge le vicende di ognuno dei due protagonisti; posso però dire che la linea di confine tra sanità di mente e pazzia a volte può risultare davvero sottile, soprattutto quando una persona è sottoposta ad una tale pressione emozionale che sembra far esplodere corpo e mente. E' incredibile come l'autrice riesca a rendere possibile anche quello che credevamo impossibile, ossia come riesca a farci sembrare così normale (o comunque estremamente possibile) la pazzia, anche per chi si crede fermamente convinto di vivere in uno stato di perfetto equilibrio tra corpo e mente. 
Non posso che valutare con un 9 pieno, ed anche se mi rammarico di aver iniziato questo libro in un periodo un po' difficile e quindi di aver un po' arrancato per la prima metà, mi sono reso conto che con lo stato d'animo giusto il resto della storia è scivolato via anche troppo velocemente. Quindi un consiglio: non leggetelo in momenti di forte pressione psicologica, ma solo quando avete la piena coscienza che ciò che state per leggere non può turbare le vostre menti. 

T.M.

martedì 15 settembre 2015

La voce delle ossa - Kathy Reichs

Al contrario della maggior parte dei lettori che hanno stroncato questo titolo non me la sento di parlarne male, anzi, in qualche modo ho trovato dei pregi al suo interno che risollevano un po' la scrittura della Reichs rispetto agli ultimi titoli della saga di Temperance Brennan. 
Ovviamente questo libro e con lui la storia che lo connette, seppur debolmente, agli altri, mi sento di consigliarlo a chi l'autrice la conosce almeno un pochino. Certo la lettura è possibile per tutti, non c'è che dire, ma per chi conosce la Reichs può apprezzare almeno un po' il suo modo di scrivere e quindi tralasciare anche alcune "mancanze" che in questi ultimi capitoli purtroppo ha così platealmente commesso. 
Per entrare nel vivo del commento però direi che questa storia si lascia decisamente leggere; cosa voglio dire: la Reichs riesce a compensare le sue "mancanze", ossia quelle bellissime descrizioni del suo mestiere da antropologa forense che hanno sempre accompagnato i suoi libri e che anche per i profani, che si approcciano per la prima volta a questo mondo, vengono debitamente spiegato con i termini e le descrizioni più chiare e semplici, colmandole con un sistema che vira verso l'avventura, la caccia al colpevole, che anche se tende a snaturare un po' il personaggio di Tempe, facendolo somigliare più ad una poliziotta scapestrata e decisamente poco professionale, riesce a renderlo nuovamente divertente (negli ultimi capitoli credevo che ormai il suo personaggio dovesse fossilizzarsi in un manichino privo di emozioni ed in costante lotta contro il suo antico amore) "salvandolo dall'oblio". 
Forse mi sono concentrato troppo a descrivere il processo narrativo dell'autrice e le sue variazioni più che descrivere l'opera, ma di per se questo romanzo non ha bisogno di grandi descrizioni, appare come un'avventura "senza freni" all'inseguimento del "colpevole", tra false piste e personaggi ambigui, dove forse l'unico dettaglio degno di nota è il lento recupero della relazione tra Tempe e Ryan, che in questo capitolo sembrano aver deposto le armi e tentano di lavorare spalla a spalla (per quel che ci riescono) portando il lettore alla conclusione di un mistero che tanto banale poi non era. 
Valuto con un 6,5 , con la speranza che i prossimi capitoli risollevino ulteriormente il il carattere di questo personaggio che merita veramente di non perdersi nell'oblio dell'ovvio. 

T.M.

lunedì 20 luglio 2015

22/11/'63 - Stephen King

Dire che ho adorato questo libro è decisamente dire poco. Sono fiero di dire che finalmente King mi ha stupito e appassionato come non mi sarei mai aspettato e come francamente non faceva ormai da molto molto tempo. 
Dico questo perchè se ci allontaniamo dalla sua produzione più "vecchia" fatichiamo molto a trovare qualcosa che attiri veramente la nostra attenzione, anche se devo dire che all'uscita di questo romanzo non ho dato molto credito neppure a questo volume, forse perchè l'ambientazione non mi attirava molto. E facevo male! Malissimo! Dopo qualche anno dalla sua uscita l'ho finalmente letto, sotto consiglio di un amico, e sono rimasto più che piacevolmente colpito, sono stato completamente catturato da questa storia, dai suoi personaggi e soprattutto, e sottolineo soprattutto, finalmente da un finale degno di questo nome, qualcosa che conclude la vicenda in modo completo senza però scivolare nell'assurdo, o nel banale. Comunque qualcosa che non è slegato dal resto, come spesso capita ai finali del povero King, sempre così abutuato a raccontare tante belle storie, ma non sapendo mai come concluderle in modo sensato, ammettiamolo. 
22/11/'63 invece ci soddisfa appieno, sotto ogni punto di vista: da una trama scorrevolissima, colpi di scena tenui ma decisamente interessanti, descrizioni romantiche ma non prolisse, personaggi credibili ma non morbosamente maniacali ed esageratamente psicanalizzati. Tutto sembra trovare un eqilibrio, tanto che per un po' ho pensato che non fosse nemmeno davvero il vecchio King a scrivere! Non che non si ritrovi la sua mano, anzi, ma ogni cosa è dosata in modo talmente straordinario che fatichiamo a collegarlo al prolisso, per non dire estenuante, King di "La storia di Lisey", oppure al contorto e maniacale King di "Le creature del buio". Ma non è nemmeno il profondo King di "Shining" o di "Rose Madder", dove ogni parola era tagliente come una coltellata. Qui si assapora ogni momento, ma in piena tranquillità (non noia, badate bene. Non c'è un solo momento di tregua in questa storia). 
Non voglio sbilanciarmi troppo perchè finirei per svelare una storia al contempo semplice ma anche decisamente complessa, perchè nella sua semplicità crea una concatenazione di sentimenti che si trasmettono dal protagonista al lettore tali da rimanerne sbalorditi; infatti leggendo questo romanzo non si può non sentirsi invischiati nelle spire del tempo, tanto che in alcuni momenti viene quasi voglia di scrollarsi per ritornare in sé e fare il punto della situazione, per non parlare del luogo in cui ci si trova, cosa che a momenti desta alcuni dubbi. 
Ok, in poche parole l'ho adorato, e sono sicuro che tanti appassionati di King la penseranno come me, ma anche i nuovi lettori del Maestro non potranno non essere d'accordo, infatti questo romanzo può benissimo essere l'inizio di una grande passione per il vecchio Stephen. 
Voto con un gran bel 10. 

T.M.

mercoledì 8 luglio 2015

Felicità astratta

Mi sono reso conto che la felicità a volte assume l'aspetto di un pensiero fugace, come un'idea che ti sfugge via prima ancora di averla sviluppata nella tua mente, un qualcosa che ti fa leggermente sorridere perché ti sembra di averla quasi sotto mano, ma poi svanisce, come un profumo evocativo che però non riesci ad associare a qualcosa di concreto,  che ti stimola la mente, anche se per poco, ma non ti lascia niente di tangibile da poter assaporare veramente. O come quando esprimi un concetto e all'improvviso quella parola così fondamentale che lo spiegherebbe alla perfezione ti sfugge dalla mente, e sembra così vicina, eppure così lontana. 
A volte mi sembra questo la felicità, un istante sospeso, dove ti sembra che potresti raggiungere tutto, con ognuno dei tuoi sensi, ma poi svanisce, lascianditi con la strana sensazione che non sia veramente esistito quel momento, o quella parola, o quel profumo, che sembravano racchiudere tutto e invece ti lasciano a bocca asciutta, dubitando non solo dei tuoi sensi ma anche delle tue emozioni. 

T.M.

lunedì 11 maggio 2015

Ricordi sbiaditi

Fermo in mezzo al nulla, osservi intorno a te tutta la gente che si muove, concitata rincorre qualcosa, qualunque cosa gli permetta di vivere un'emozione. E tu osservi questo silenzio, questo vuoto di senso, quest'interminabile ossessione di ricordi spenti, di momenti sbagliati, di sorrisi incerti. E ricordi. Ricordi quello che hai paura di dimenticare, quello che sembra svanire, quello che si arrampica dentro di te e ostinatamente cerca di sopravvivere, quello che ancora ti permette di vivere, di amare, di piangere e di sognare. Ricordi, quelle grandi storie fatte di piccoli profumi, quelle tenere sensazioni, morbide, come un batuffolo di lana, che delicato ti sfiora la pelle e ti fa rabbrividire. Sorridi, pensando all'assurdità di un gioco, alla semplicità di un momento, sbiadito, eppure ricco di profumi, di rumori, di emozioni che ti fanno battere il cuore. Ricordi, quando tutto era più semplice, quando potevi restare a guardare, e tutto intorno a te cambiava, lentamente, troppo lentamente, che ancora potevi sognare. Allora cerchi un fermo immagine, per capire cosa c'è da ricordare, ora. Forse niente, forse tutto, forse troppe cose fatte di niente; quindi ti volti, e abbracci forte quel cuore che batte di speranza, che si anima di sogni, che vive in quei grandi ricordi e ancora ti permette di entrare, di scrutare e sorridere. Perchè ancora ci puoi andare, in una valle sterminata, dove la sabbia sotto ai tuoi piedi scivola via, ricca di tutto quello che sei e che ancora cerchi di essere, e ti ci aggrappi con le mani facendola scorrere tra le dita, sapendo che un barattolo non potrà mai contenerla tutta, ma sperando che quello che resta nel tuo cuore possa bastare per alimentare la tua determinazione a non cambiare.

T.M.

lunedì 23 marzo 2015

Muri di vetro

Non so nemmeno perchè mi ritrovo qui a scrivere. Forse per mettere a tacere quella mia vocina interiore che continua a parlare, a sussurrarmi parole ma che io ascolto solo dentro, senza darle voce. Quella vocina mi dice che sarebbe ora che mi dessi una mossa, che cominciassi a mostrare veramente chi sono, che aprissi davvero il mio cuore, ancora una volta, ancora come un tempo. Io ascolto questa vocina ma con il mio sguardo perso nel vuoto mi sento lontano da tutto e da tutti, e non vedo questo spazio in cui muovermi, mi sento isolato in quella stessa stanza da cui quella vocina cerca di uscire.  Una piccola trappola di cristallo, fatta di tutte quelle certezze create dalla mia mente per proteggere ogni mio passo, ogni mio movimento, ogni mio sentimento. Ma come faccio ad essere ancora ridotto a questa condizione dopo anni che questo mio corpo tenta di reagire? Non ho ancora trovato la combinazione che sleghi queste catene dall'incertezza e mi permetta di muovere quei passi sicuri verso...verso tutto, ogni cosa, ogni situazione, ogni persona, verso tutto quello che senza volerlo mi fa paura, verso quelle cose che mi sembrano tanto più grandi di me, verso quelle vette che mi sembrano così irraggiungibili.
Come fare? Ascoltare? Devo ancora ascoltare? Quella vocina insistente che mi pulsa nella testa? Ormai fa parte di me, ma se per un attimo la mettessi da parte forse potrei aprire gli occhi e vedere da solo la strada, anzi, forse la strada esisterebbe proprio per questo, perchè sarei io a costruirla, e non la fragilità dei miei pensieri, dei miei insistenti ragionamenti, delle mie assurde ossessioni che rendono inconsistente ogni passerella che collega i miei sogni alla vita. Potrei costruire quella strada con gli stessi mattoni con cui ho rafforzato le fondamenta dei miei obiettivi in passato, che pur avendo dovuto cambiare direzione sono comunque rimasti in piedi, perchè li ho percorsi, senza timore.
Inutile farsi scoraggiare, i muri di vetro ostacoleranno ogni giorno la nostra strada e noi ci andremo a sbattere il naso, ma sarà inutile fermarsi a guardarli con la faccia rivolta al cielo, aspettando una risposta, questi muri vanno infranti con la forza della decisione, con l'intento di proseguire, anche se ci si può far male.

T.M.

sabato 14 febbraio 2015

L' uomo scomparso - Jeffery Deaver

Premesso che sono un fan accanito di Jeffery e sto "percorrendo" la saga di Lincoln Rhyme fin dal primo romanzo. Questo capitolo però mi ha lasciato un tantino perplesso rispetto ai preced
enti. Diciamo che sommariamente il ritmo è rimasto lo stesso, anzi, forse ancor più incalzante; nel complesso però l'opera mi è apparsa alquanto "carica", e a tratti confusa. Deaver sembra aver voluto inserire a forza troppi elementi, talmente tanti che sembrano smaterializzare completamente la trama del romanzo, rendendola un ammasso di tasselli che a stento compongono un quadro generale comprensibile e soprattutto accettabile. Non metto in dubbio la narrazione che è di ottimo livello, specialmente per i primi tre quarti del libro, mentre alla fine comincia a farsi un po' confusa, soprattutto per colpa dei continui colpi di scena. Quello che metto in dubbio è l'idea generale: era davvero necessario architettare una storia così complessa per raccontare la vicenda di un illusionista che vuole riscattarsi? Il tema di fondo è anche interessante, e soprattutto si presta benissimo ad essere utilizzato dal grande Deaver, infatti l'illusionismo e tutti i trucchi correlati fanno in modo che le vicende siano ancor più avvincenti ed enigmatiche, solo che mi sono reso conto che rispetto ad altri romanzi lo scrittore non spiega gradualmente i ragionamenti dietro alle analisi di Rhyme, per farci arrivare poi alle sue scoperte, ma piuttosto opta per il colpo di scena che viene poi svelato attraverso la spiegazione del modo in cui si è arrivati a tali conclusioni, una narrazione al contrario che compromette un po' il tutto, perchè anche se da una parte ci fa vivere la sorpresa, dall'altra non ci da la giusta suspense che ci si aspetterebbe da questi romanzi, quell'adrenalina derivante dalla ricerca fatta dai protagonisti per arrivare gradualmente alla soluzione di un enigma. Insomma, in poche parole la struttura, leggermente cambiata, compromette un po' il tutto, e la trama, un tantino abusata, storpia la conclusione del tutto, che di solito arriva ad un punto di sollievo, mentre qui lascia ancora sulle spine, seppure sia tutto finito e concluso, come se ci si dovesse aspettare ancora qualcosa, perchè per Deaver non è mai abbastanza in queste pagine.
Voto con un 6,5, non credo si meriti molto di più, avrebbe potuto sfruttare decisamente meglio il materiale che aveva a sua disposizione. 

T.M.

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