venerdì 24 dicembre 2010

Oscuri riflessi

Quando ci si sente presi in giro dal mondo intero, e si vorrebbe soltanto rifugiarsi nell'angolo più remoto della terra, dove nessuno resti a fissarti, da soli con le proprie paure e le proprie incertezze, è in questi momenti che scopro di essere davvero da solo. E allora a cosa serve rincorrere le persone, cercare di attirarle a se, soddisfare ogni loro desiderio, anche senza la speranza di ricevere qualcosa in cambio, ma coltivando nel cuore la fiducia di essere delle buone persone, e che gli altri saranno altrettanto buoni con noi? Non c'è bontà al mondo per chi dona il cuore intero, in cambio si ricevono solo i resti di uno sguardo distratto, un cenno sbadato, una parola biascicata di cui riconosciamo a malapena il significato, di discutibile verità.
Immagino di allontanarmi dal mondo, di lasciare ogni cosa al caso, di non nutrire più sentimenti, nè speranze, e mi osservo avvizzire, mentre tutto attorno continua a vivere, rigoglioso, allunga le sue radici e conquista nuovi territori, mentre io nel mio misero angolino a malapena cerco di conquistare il silenzio di un attimo, un impercettibile sensazione di vuoto che mi permetta di sentire ancora il battito del mio cuore, che mi faccia sentire che sono vivo, perchè ogni specchio intorno a me non riflette che il nulla, il contorno di una figura invisibile, eppure così presente... richiamato alla realtà dal mio nome gridato a gran voce mi accorgo di non aver mai abbandonato questo mondo. Se osservo la figura riflessa però ha una leggera incrinatura, che si allarga, e pian piano arriverà a nascondere del tutto quel volto già a stento riconoscibile. Vorrei infrangere quello specchio che mi parla di tutto ciò che non posso essere, che mi grida ciò che devo essere, e ad un tratto mi ritrovo ad afferrare la fragile cornice di queste angosce, la sollevo in alto sulla mia testa, e mi immergo completamente nell'oblio di quelle sensazioni, cosciente che il riflesso non potrà mai essere più chiaro di così.

T.M.

venerdì 3 dicembre 2010

Sussurri del cuore

Ci sono momenti in cui il cuore sembra sussurrarti delle parole, cerca di dirti qualcosa, eppure il significato ti sfugge, lasciandoti con la frustrante sensazione di aver perso qualcosa d'importante, un momento che non tornerà più, un'occasione che bisognava cogliere al volo, ma la sordità dei tuoi sensi ti ha negato di conoscerla.
A volte scorgi questa debole verità tra il sonno ed il risveglio, quando ti sembra di poter catturare ogni istante dei tuoi desideri per poterli vedere realizzati, eppure un attimo dopo tutto scompare nell'oblio, e invano tenti di riportare alla mente quei frammenti perduti, quelle deboli emozioni che ancora ti fanno battere il cuore.

Le giornate si susseguono, l'una identica all'altra, eppure senti dentro di te che c'è di più, che il tuo cuore trabocca di aspettativa e i tuoi occhi scrutano avidi i colori che li circondano, costretti a soffermarsi solo sul triste grigio delle quattro mura che ti circondano.
Ti capita di osservare la montagna di libri che affolla un triste angolo della tua stanza, e ti domandi quale storia si nasconde dietro, e vorresti lanciartisi dentro, scoprirla, esplorarla, viverla, ognuna di esse, pur di non restare nel tetro angolo opposto, pieno di speranze infrante che feriscono inesorabilmente i tuoi piedi stanchi. Soltanto una tenera musica addolcisce quei momenti, rasserena i tuoi occhi, che stancamente si adagiano in un sonno privo di sogni; ogni muscolo si rilassa e riceve la misera quiete che la notte gli dona, ed il corpo finalmente assapora la leggerezza che aspettava da tempo, quel battito d'ali che gli fa spiccare il volo lontano, verso... un risveglio, fatto di tormenti, dove ogni speranza cede il posto alla certezza che il nuovo giorno si fa avanti, con i suoi piedi di piombo, e dove il cielo si può solo osservare dal basso, nei suoi grigi colori, che nascondono alla nostra vista l'infinita luce dietro di loro, che forse un giorno lontano squarcerà il sipario della nostra ipocrita esistenza.

T.M.


venerdì 19 novembre 2010

Incompleto

Vivi le tue giornate, costantemente diviso, costantemente sospeso. Osservi il mondo con una certa tensione che senti vibrare nelle dita, e vorresti afferrare qualsiasi cosa, e a volte lo fai, ma la sensazione resta.
Cammini con la mente vuota, scoraggiato, imprecando contro tutto quello che appare irrisolto, contro tutte quelle persone che sembrano svuotare di senso ogni tuo gesto, tutta quella parte della tua vita che vorresti aver vissuto appiento, ma che ti sembra di aver sprecato, e non puoi più rimediare.
Incompleto è quel pensiero che ti fa prendere a pugni il cuscino, senza un motivo, solo per sfogarti. Incompleto, di senso, di forma. Incompleto il tuo cuore che sanguina ogni volta che si apre al mondo, eppure non riesce a non farlo, e viene lentamente corroso dall'indifferenza.
Incomplete le ombre che si formano al passaggio dei tuoi desideri, alla luce di una candela che brucia ogni tua speranza, e ti vedi, chino su quel tavolo, a pensare a quei vuoti di senso che accompagnano ogni tuo risveglio.
Ma è ora di sollevare la testa, volgere il viso al cielo e lasciarsi inondare di coraggio; raccogliere quei pezzi che restano, figure incomplete di pensieri, di sogni iniziati e mai portati a termine, brandelli di vita che hai trascinato con te, logori e stanchi. Guardare negli occhi le persone e offrirgli una nuova parte di te, e sperare solo di ricevere in cambio ciò che ancora non conosci, e che forse neppure loro sanno ancora di possedere.

T.M.

giovedì 11 novembre 2010

Una lacrima

Quando una lacrima comincia a scendere è come se tutto dentro di te esplodesse, e attraverso quella lacrima allontani il mondo intero, tutto il tuo dolore, tutta la disperazione che affolla la tua mente.
Scende, percorre il tuo viso, e più si allontana più il cuore si gonfia, si riempie di serenità, ti risollevi, come in un lancio nel vuoto lasci tutto alle spalle e ti getti nell'assoluta incertezza delle emozioni.
Attraverso quella lacrima non vedi più come prima ciò che ti circonda, il suono ovattato delle cose ti giunge nuovo, lontano, strano e incerto, e senti solo il grido soffocato che vibra dentro di te, ma che non può uscire, che scuote le sbarre della tua anima facendo vibrare ogni parte del tuo corpo, eppure resta lì, inerme, vittima del tuo stesso dolore che continua a scorrerti nelle vene, e non trova via d'uscita.
Una debole macchia, si allarga, lentamente si asciuga, racchiude tante emozioni, eppure nessuna. Puoi fissarla, ma non riesci a comprendere come una cosa tanto insignificante abbia riscosso così tanti sensi in te, da lasciarti tramortito, e non capire quanto bene o quanto male sia rimasto nel tuo cuore, ma lasciandoti una sola certezza, di qualcosa in meno dentro di te.

T.M.

giovedì 4 novembre 2010

Racconto BluSuBianco: STUPIDI SOGNI


Incipit 7:

RINASCERE

Stamattina si è svegliata presto.
Un misto di ansia e gioia ha mosso tutti i suoi gesti: ha fatto il caffè
e per sbaglio ha versato un po’ di zucchero nel lavandino.
Non le è importato.
Il giornale era ancora sul tavolo e quando si è girata per prenderlo ha alzato gli occhi sulla finestra e ha visto la neve.
Si è avvicinata al vetro: una pioggia gelata, bianca, cadeva nel cortile a fiocchi spessi.
Non è riuscita a smettere di guardare.
Qualcosa ha cominciato a sciogliersi dentro di lei e a scorrerle lungo le braccia, le gambe.
Un po’ alla volta tutto è diventato nuovo, anche lei.
E non è che non abbia sentito il frastuono che viene dall’altra stanza.
Solo, non vuole muoversi, andare di là.
Si sente rinata ed è contenta di averlo fatto.

STUPIDI SOGNI

Non credeva che ne sarebbe stata capace. Oggi, al risveglio fissava la flebile luce che filtrava dalle tapparelle; il sottile pulviscolo che ballava attorno ai deboli raggi di sole, non era ancora in grado di capire se fosse una giornata più o meno serena, eppure dentro di sé sentiva già un moto diverso, qualcosa che di sicuro era nuovo per lei, qualcosa che non sentiva dentro da anni.

Pian piano la luce andava attenuandosi, forse uno scherzo del risveglio, quando i tuoi occhi stentano ancora ad aprirsi del tutto; ma i suoi erano ben aperti, e una domanda cresceva già nel suo cuore: . Associava troppo spesso il suo stato d’animo a piccoli, insignificanti “segni” che sembravano un monito dal mondo esterno; ma ora basta, non poteva più porsi domande, era il momento di alzarsi, era il momento di andare.

I suoi passi si muovevano ancora un poco incerti verso la cucina da cui arrivava una luce un po’ più chiara, una luce incoraggiante, seppur fosca e grigia. Le tapparelle erano rimaste alzate dalla sera prima, quando aveva osservato le stelle per un tempo interminabile prima di andare a dormire. Per un attimo aveva creduto di poterle contare, una a una, pur di non pensare all’idea che le si era formata in testa, a quella convinzione che le aveva mosso le parole in bocca con le quali aveva provocato la bufera del giorno prima. Così contava le stelle, per perdersi in quell’infinito abbraccio che le dava ancora un po’ di speranza. Come quando in riva al mare guardava l’interminabile distesa d’acqua e affidava a quella i suoi pensieri, sperando che se li sarebbe portati via lasciandola finalmente libera, serena; ma non è così che funzionano le cose, non è scacciando i propri scomodi desideri che si raggiunge la serenità, casomai assecondandoli, mettendoli davanti ai propri occhi e convincendosi che sono parte di noi, quello che non ha mai saputo fare per tanti anni della sua vita.

Per un attimo si ridesta dai propri pensieri e si ritrova davanti al lavello a fissare il vuoto. Un cucchiaino in mano, un po’ di zucchero versato. Com’era arrivata lì? Vagava troppo spesso nella sua fantasia, alla ricerca del momento perfetto, ma quello non esisteva, ritornò quindi a preparare la colazione, pur non sapendo nemmeno cosa la spingesse ancora a farlo.

Dall’altra stanza un debole fruscio, quasi lo scroscio attutito dell’acqua sugli scogli. Poi più niente. Forse se l’era immaginato. Come si immaginava tante cose, vivere felice, una casa, qualcuno di tenero e comprensivo che non aspetti altro che di farla sentire bene. Ad un tratto un sorriso comincia ad allargarsi sul suo viso; tutto questo era possibile, non era una delle sue stupide fantasie, ora lo capisce bene; quella persona esiste, una persona in grado di ridare quella particolare luce ai suoi occhi, quella luce che non vedeva brillare da così tanto tempo.

Solo un attimo, poi tutto svanisce, la luce si affievolisce intorno a lei, e di fuori sembrano quasi calare le tenebre. Un altro stupido sogno, e quel giornale posato sulla tavola a ricordarglielo: . Come poteva essere stata tanto stupida?

Un altro debole fruscio. Un altro ancora. Come il mare, si porta via i suoi pensieri, le sue parole, le grida che colpiscono violentemente l’orecchio che vuole smettere di sentire, cercare quell’improvvisa sordità che può darle finalmente pace, e raggiungerla, in un attimo. I suoi occhi sbarrati ripercorrono la sera prima e il suo cuore si ritrova improvvisamente in tumulto, in un battito incessante e assordante che le martella nelle orecchie. E poi, un fugace battito di ciglia, si ridesta, blocca il fastidioso borbottio del caffè sul fuoco che ormai schizza ovunque, mentre un debole sorriso riaffiora. Che stupida.

Si volta per versare il caffè, nelle tazzine, quel caffè che le trasmette tutta l’amarezza dentro il suo cuore, in un buco nero come quello che si è formato nella sua anima con un semplice monosillabo: .

Alzando però gli occhi per cercare di ridare a se stessa un po’ di contegno, si blocca. La caffettiera finisce a terra con un rumore assordante, ma lei sembra non sentirlo. I suoi occhi fissano il riquadro della finestra, e un’improvvisa luce l’abbaglia, ma non è quella luce, non è la solita luce, ha uno strano chiarore, quasi rasserenante seppure abbagliante, tanto che la costringe a schermarsi un po’ gli occhi per vedere meglio.

Un fruscio. Si trasforma in un tonfo sordo. Non esiste, esiste solo il suo sguardo ammaliato dai teneri fiocchi di neve che scendono fuori dalla finestra. Come gocce di luce trafiggono il suo cuore e lo inondano improvvisamente di una strana serenità. Una luce ritrovata, chiara, nuova, una luce che avvolge tutto, pura, incontaminata.

Un rumore ovattato (dei passi?) le giunge all’orecchio, ma i suoi occhi sono catturati da quel sogno, da quell’immagine di speranza, di rinascita che le cresce improvvisamente dentro; e poi, due calde braccia l’avvolgono, ed è come la neve che si scioglie dentro di lei, gli occhi lentamente si chiudono, e non è più un sogno, le parole che le giungono all’orecchio sono come acqua cristallina per lei:

In un attimo si cancella tutto, la telefonata di Carlo, le urla, le stelle, il mare infinito e quel vuoto dentro di lei. Si scioglie in un tenero bacio che riesce a donarle tutto il calore che ha cercato da tutta una vita.


T.M.


Pensieri distratti

Se ti concentri lo puoi sentire, dentro di te, qualcosa che si muove.
E' un pensiero, che striscia lentamente, confuso, barcollante, distratto. Eppure pian piano si impossessa di te, ti entra nel cuore e lo avvolge. Ti senti soffocare, prima ancora di capire cos'è.
Eppure lo ami, lo ami terribilmente, come un figlio.
Si alimenta, cresce e lo senti più forte, vivo. Pian piano ne intravvedi i contorni, ancora indefiniti, ma più luminosi, sempre più sgargianti.

Ti avvolge l'inquietudine e vorresti scacciarlo da te, sperare che non ti appartenga; allontanarlo brutalmente sperando che non faccia ritorno, mentre fissi la tua immagine di rabbia proiettata in ogni superficie. E' palpabile, la odi, eppure non puoi non amarla.
Questo pensiero distratto ti divora, anima e corpo; si nutre delle tue incertezze.
Ti lasci inebriare dal suo profumo, ma solo per un attimo, perchè è talmente pungente l'aroma che ti pizzica le narici e ti riscuoti all'istante.
Pungono agli occhi le lacrime che non riesci più a trattenere. Non ti senti più padrone di te e desideri solo lanciarti, nel vuoto, sperando di riaprire gli occhi nel momento in cui qualcuno ha deciso, al posto tuo, solo quando non senti più il peso, opprimente, che ti schiaccia contro la terra ed il cuore riprende il suo battito regolare, non più vittima della morsa di quella dannata serpe che ora scivola via, ai tuoi piedi.

La osservi, perplesso, ma non stupito. E' parte di te, ma non sei tu, e vorresti purificare col fuoco quell'orribile serpeggiare, quel languido movimento che tenta ancora di impossessarsi di te.
Distogli lo sguardo, e fissi una nuvola in cielo, il bianco puro che dona una debole speranza di salvezza, eppure hai la certezza che la terra ti sta chiamando; i tuoi piedi già sentono l'inconfondibile formicolio, quel leggero fruscio, e lo sai, tornerai a guardare, lì, dove solo tu ti puoi salvare, dove solo le tue mani ti possono liberare di quell'irrazionale certezza che per volare bastano due ali.

T.M.

Un infinito numero - Sebastiano Vassalli

Consigliato, anzi, consigliatissimo. E' un libro che ti accompagna alla scoperta dell'animo umano, il quale si trova sempre di fronte a delle scelte, ma quasi sempre opta per l'istinto, per ciò che lo porta all'autodistruzione, e un infinito numero di volte rinasce, con la speranza di essere ricordato e morendo nel tentativo di raggiungere questo obiettivo, perdendo di vista molto, intorno a lui, che varrebbe almeno il tempo di uno di quegli infiniti minuti che la vita gli ha messo a disposizione.
A mio parere questo libro non ha un'unica interpretazione, ma sommariamente descrive la fragilità degli uomini e la loro corruttibilità.

T.M.

mercoledì 28 aprile 2010

Crostata di ricotta e cioccolato


Ingredienti per l’impasto:
300gr di farina
150gr di burro a temperatura frigo
150gr di zucchero
3 uova (2 tuorli e uno intero)
un pizzico di sale
la buccia di un limone grattugiata

Ingredienti per il ripieno:
500 gr. di ricotta fresca,
50 gr di cioccolata al latte
3 tuorli d'uovo
zucchero
mezza tazzina di alchermies (liquore x dolci)

Procedimento impasto:
mettete nel boccale la buccia del limone. Incorporate gli altri ingredienti ricordando di utilizzare il burro freddo, lavorandolo il meno possibile. Formate un panetto, ponetelo in una ciotola coperta dalla pellicola e riponetela in frigo per un’oretta.

Procedimento per il ripieno:
Spezzettate a piccoli pezzettini la cioccolata. Mischiate tutti gli ingredienti con una forchetta.
Aggiungere tanto zucchero fino a raggiungere il gusto desiderato.
Quindi riempite la crostata e cuocete a 180 per circa 25 min.


T.M. 

venerdì 9 aprile 2010

Antichrist

 "Antichrist", gratta gratta c'è tanta letteratura
di Andreina Sirena Il Tempo
Una pellicola brulicante di citazioni letterarie e filosofiche con le  misure e le dismisure di uno stato ipnotico. Un'autentica opera d'arte  indecifrabile alla maggioranza, accolta dal pubblico come «Le Fleur du  mal» di Baudelaire nel 1857 o «Inferno» di Strindberg del 1897. Per  fortuna non è il tempo delle censure e delle condanne cinematografiche  anche se le diffamazioni costruite dalla critica riescono peggio dei  roghi dell'Inquisizione.
Veniamo a Strindberg. Quasi tutti lo hanno citato commentando il film  poiché il regista stesso in un'intervista lo indica come fonte  d'ispirazione. Ma possibile che nessuno sia risalito a «Inferno»?  Possibile che tutti abbiano creduto che la Gainsbourg e Dafoe fossero  una coppia qualsiasi a cui capita la disgrazia di perdere un figlio?  Allora da dove sbucherebbe fuori il titolo «Anticristo»? Un'insegna  luccicante per gli assonnati popcornisti-filosatanisti in cerca di  emozioni pornosplatter? Non ci voleva troppo a sfogliare «Inferno» e
svelare il capolavoro criptico di von Trier. Il bambino che cade dalla  finestra all'inizio del film altro non è che Lucifero detronizzato, la  cui caduta dal cielo genera dolore, pena e disperazione (le tre statue  che cadono a terra).
Tutto avviene in perfetta simmetria con la scoperta del male suggellato
dall'amplesso dei due protagonisti (I progenitori cacciati dal Paradiso). Da questo momento il sesso sarà solo dolore e punizione e  l'Eden diventerà il luogo delle paure arcane dove il mistero tremendum e fascinans della natura sarà svelato. Lo scontro fra i due sessi diventa la macroguerra di tutti i tempi tra ragione e istinto. Oltre a  Strindberg la pellicola pullula di riferimenti a Baudelaire e Jung.
Tutti e tre hanno un denominatore comune: gli «Arcana Coelestia» di  Swedenborg e la dottrina delle corrispondenze. Cominciamo con  Baudelaire. L'opera di Von Trier è una vera e propria petrarchizzazione  dell'orribile in cinematografia. Numerose le citazioni da «I fiori del  male».
Innanzitutto la natura come tempio di simboli (Corrispondences) dove  profumi, colori e suoni si rispondono (la caduta delle ghiande che  diventa pianto per il defunto, l'uomo e il corvo accomunati dalla paura  della morte, il grido della donna che scuote il cerbiatto). La Carogna
nella visione dell'animale col ventre aperto e brulicante a ricordarci  che "sotto l'erba e le grasse fioriture marciremo fra le altre ossa". E  ancora Le Litanìe di Satana, il «De profundis clamavi»,  «L'Heatontimorouménos» dove il colpevole si autocastiga e dove l'acqua  della salvezza diventa eaux de la souffrance (numerosi i riferimenti  all'acqua - connotato fondante del cinema di Tarkovskij a cui il film è  dedicato - nella sua accezione di ventre materno che culla e stritola  come la lavatrice della scena iniziale, nella libido dell'attraversamento del torrente dell'Eden, nell'accezione più ampia di purificazione).
Nella regressione primordiale verso gli strati oscuri dell'inconscio, la donna assume le sembianze di una strega junghiana, totemica e assoluta, che una volta messa al rogo permette di fare chiarezza. Il film ha una  perfezione formale e una compiutezza sacrale, inizia con una caduta e  termina con una salita, come la Divina Commedia, rievocata in più punti nella fotografia. L'Eden si riaffolla, la natura torna sorella. C'è la visione di un popolo in pellegrinaggio che ricorda una scena de «L'Enigma di Kasper Hauser» di Herzog. La méta in alto non è visibile ma lascia presagire sulle note di Handel l'ascensione verso una promessa
più grande.
Da Il Tempo, 31 maggio 2009
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sabato 13 marzo 2010

New York Sexy

E' sbalorditivo come una scrittura semplice a volte possa essere molto più efficace di un tentativo di "scrittura superiore" o se vogliamo "sofisticata". La Bushnell in questo romanzo è stata capace di creare veramente l'immagine della moderna Rossella Hoara, mostrandoci un perfetto spaccato di quello che è il "mondo dei famosi" (o di chi vuole esserlo a tutti i costi).
Ci lasciamo piacevolmente scioccare da quelle che sono le vicissitudini della protagonista, ma non è mai così scontato chi siano veramente i buoni o i cattivi all'interno del racconto, forse perchè sostanzialmente non esistono né gli uni né gli altri, ma esiste semplicemente un mondo, molto spesso nascosto, e a volte invece fin troppo visibile, che ci lascia a bocca aperta, e non siamo mai veramente convinti se vorremmo allontanarlo da noi, o forse, sotto sotto, vorremmo farne parte, perchè a conti fatti...tutti vogliamo "saperne di più".

T.M.

giovedì 21 gennaio 2010

Il volo del calabrone - Ken Follet

E' l'ennesimo volo fantastico che la scrittura di Follet ci fa fare, emozioni forti e romantiche, colpi di scena che si susseguono uno dopo l'altro, una storia sulla guerra che però ci fa vivere nel cuore delle persone. Ovviamente non bisogna aspettarsi un romanzo storico, ma la narrazione è assolutamente perfetta e coinvolgente.
Purtroppo i seguaci di Follet (come me) si accorgeranno di quanto abbia spinto sull'acceleratore con questo romanzo, cercando di mettere all'interno il maggior numero di cose, sperando di sconvolgere il lettore, e purtroppo, a tratti, risulta un po' poco credibile; ma d'altra parte bisogna concederlo ad un romanziere come lui, in grado di saltare da un genere all'altro, che ogni tanto prova a concedersi un po' di stravaganza, essendo però sempre impeccabile.
Un bell'8 per questo romanzo, che consiglio a tutti, anche se raccomando calorosamente di leggere alcune delle sue produzioni migliori, come " una ricchezza pericolosa" e "le gazze ladre" ("i pilastri della terra" non l'ho ancora letto, ma data la sua fama... si consiglia da solo).

T.M.

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