venerdì 9 aprile 2010

Antichrist

 "Antichrist", gratta gratta c'è tanta letteratura
di Andreina Sirena Il Tempo
Una pellicola brulicante di citazioni letterarie e filosofiche con le  misure e le dismisure di uno stato ipnotico. Un'autentica opera d'arte  indecifrabile alla maggioranza, accolta dal pubblico come «Le Fleur du  mal» di Baudelaire nel 1857 o «Inferno» di Strindberg del 1897. Per  fortuna non è il tempo delle censure e delle condanne cinematografiche  anche se le diffamazioni costruite dalla critica riescono peggio dei  roghi dell'Inquisizione.
Veniamo a Strindberg. Quasi tutti lo hanno citato commentando il film  poiché il regista stesso in un'intervista lo indica come fonte  d'ispirazione. Ma possibile che nessuno sia risalito a «Inferno»?  Possibile che tutti abbiano creduto che la Gainsbourg e Dafoe fossero  una coppia qualsiasi a cui capita la disgrazia di perdere un figlio?  Allora da dove sbucherebbe fuori il titolo «Anticristo»? Un'insegna  luccicante per gli assonnati popcornisti-filosatanisti in cerca di  emozioni pornosplatter? Non ci voleva troppo a sfogliare «Inferno» e
svelare il capolavoro criptico di von Trier. Il bambino che cade dalla  finestra all'inizio del film altro non è che Lucifero detronizzato, la  cui caduta dal cielo genera dolore, pena e disperazione (le tre statue  che cadono a terra).
Tutto avviene in perfetta simmetria con la scoperta del male suggellato
dall'amplesso dei due protagonisti (I progenitori cacciati dal Paradiso). Da questo momento il sesso sarà solo dolore e punizione e  l'Eden diventerà il luogo delle paure arcane dove il mistero tremendum e fascinans della natura sarà svelato. Lo scontro fra i due sessi diventa la macroguerra di tutti i tempi tra ragione e istinto. Oltre a  Strindberg la pellicola pullula di riferimenti a Baudelaire e Jung.
Tutti e tre hanno un denominatore comune: gli «Arcana Coelestia» di  Swedenborg e la dottrina delle corrispondenze. Cominciamo con  Baudelaire. L'opera di Von Trier è una vera e propria petrarchizzazione  dell'orribile in cinematografia. Numerose le citazioni da «I fiori del  male».
Innanzitutto la natura come tempio di simboli (Corrispondences) dove  profumi, colori e suoni si rispondono (la caduta delle ghiande che  diventa pianto per il defunto, l'uomo e il corvo accomunati dalla paura  della morte, il grido della donna che scuote il cerbiatto). La Carogna
nella visione dell'animale col ventre aperto e brulicante a ricordarci  che "sotto l'erba e le grasse fioriture marciremo fra le altre ossa". E  ancora Le Litanìe di Satana, il «De profundis clamavi»,  «L'Heatontimorouménos» dove il colpevole si autocastiga e dove l'acqua  della salvezza diventa eaux de la souffrance (numerosi i riferimenti  all'acqua - connotato fondante del cinema di Tarkovskij a cui il film è  dedicato - nella sua accezione di ventre materno che culla e stritola  come la lavatrice della scena iniziale, nella libido dell'attraversamento del torrente dell'Eden, nell'accezione più ampia di purificazione).
Nella regressione primordiale verso gli strati oscuri dell'inconscio, la donna assume le sembianze di una strega junghiana, totemica e assoluta, che una volta messa al rogo permette di fare chiarezza. Il film ha una  perfezione formale e una compiutezza sacrale, inizia con una caduta e  termina con una salita, come la Divina Commedia, rievocata in più punti nella fotografia. L'Eden si riaffolla, la natura torna sorella. C'è la visione di un popolo in pellegrinaggio che ricorda una scena de «L'Enigma di Kasper Hauser» di Herzog. La méta in alto non è visibile ma lascia presagire sulle note di Handel l'ascensione verso una promessa
più grande.
Da Il Tempo, 31 maggio 2009
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