martedì 7 luglio 2020

Consapevolezza


Mi domando quando è arrivato quel momento in cui ho smesso di ascoltare me stesso. Quand'è che quell'assurda ossessione per l'approvazione altrui ha preso il sopravvento.
Una volta mi bastava chiudermi nella mia stanza, sedermi per terra e restare in silenzio ascoltando i miei pensieri. Potevo stare così per lunghi minuti, anche delle ore, osservando attorno a me, quello che mi circondava, le cose a me più care, cercando di captare le vibrazioni, quelle provenienti dal passato, quelle che permeano ogni oggetto grazie alle emozioni forti che abbiamo riversato su di essi. In realtà ascoltavo me stesso, cercavo di capire quello che non riuscivo a dire; scavavo nella mia testa per far emergere quelle emozioni che non ero capace di esternare, semplicemente perché non ero abituato, e quindi in qualche modo mi bloccavo, per cercare una chiave d'uscita da quella stanza in cui mi ero imprigionato da solo.
Ho smesso di farlo, o comunque di farlo con la stessa cura con cui lo facevo da piccolo. Ed ho sostituito quei momenti di riflessione con esplosioni di parole. Parole che mi escono di bocca senza che nemmeno me ne accorga. Veri e propri fiumi incontrollati senza un percorso da seguire, che tracimano dagli argini ad ogni curva e sembrano ingrossarsi via via che procedono, prendendo forza non si sa da dove. Resto tramortito da queste valanghe di emozioni che non si fanno contenere, e solo ora mi rendo conto che una volta riuscivo ad imbrigliarle senza troppa fatica. Le tenevo strette, chiuse dentro di me. Certo ogni tanto sgusciavano fuori, con qualche debole lacrima, che mi sbrigavo ad asciugare. Eppure era quello che mi aiutava già a stare meglio, mi liberava gli occhi dal velo che aveva offuscato la vista, e mi permetteva di vedere un pochino oltre, e farmi sentire il cuore un po' più leggero.
Sarà forse il peso delle cose che è cambiato, la sostanza di cui sono fatte le emozioni, o sarà semplicemente il fatto che dentro di me non c'è più spazio. Sta di fatto che se mi guardo dentro comincio a soffocare, e quindi l'unico modo per sopravvivere sembra quello di dover aprire bocca e dar sfogo a tutto quello che non riesce più a restare dentro. Sarà giusto. Sarà Sbagliato. Io non riesco più a capirlo.
Non so quando ho smesso di osservare il mio dolore. Quando ho smesso di accettarlo. Di sedarlo, anche solo per un po' di tempo. Fino a quando fossi sicuro che non poteva più nuocermi. Non che sparisse, questo mai. Però potevo dimenticarmene per un po', e quindi stare meglio; o comunque si possa chiamare quella sensazione che ti alleggerisce il cuore, per mostrarti quella luce che c'è ancora fuori, e che tu avevi smesso di vedere.
Quante emozioni albergano nel nostro cuore, e quante riusciamo a non vedere, per un po', come inquilini che non pagano l'affitto, fino al punto in cui però siamo noi che ci vediamo costretti a chiederne il conto?
Che opinione abbiamo di noi stessi, di quella persona che procede nella vita dimenticandosi di un dolore che non si può cancellare nel nome di una felicità momentanea?
Siamo disposti a sbagliare, e crediamo che le nostre scelte ci condurranno verso una strada in cui i nostri passi verranno cancellati senza necessità che possiamo voltarci indietro ricordandoci da dove siamo venuti. E tutte le grida, le porte sbattute, la strada percorsa senza una direzione, quando smetteranno di assumere quel debole significato di disperazione che copre i silenzi del nostro cuore? Perché lui continuerà a parlarci, come una volta, dentro di noi, anche quando non siamo disposti ad ascoltare. Quella vocina continuerà a chiederci tempo; tempo per restare in silenzio, guardarci dentro, ed osservare attorno a noi quello che ci fa piangere, e quello che ci fa arrabbiare. Osservare, senza emettere giudizi, con le labbra serrate; fino a quando una debole lacrima non riuscirà a solcarci il viso, liberandoci dall'aridità in cui eravamo imbrigliati, e facendoci recuperare un sospiro di sollievo, grande come se non avessimo mai respirato prima, che ci riempie i polmoni, e ci fa capire che siamo ancora qui, pronti per rimediare, senza la necessità di dimenticare.

T.M.

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