sabato 8 settembre 2007

Non riuscite a dire no? Dovete imparare

Chi acconsente sempre ad ogni richiesta, chi nasconde il proprio dissenso, non è una persona «molto gentile»: è, piuttosto, qualcuno che non rispetta se stesso

Dite di sì quando vorreste dire il contrario? Vi considerate così gentili da dover negare a voi stessi qualsiasi sentimento di rabbia? Sono alcune delle domande con cui Corinne Sweet, nel suo libro "Come dire di no" (2004, Gruppo Editoriale Armenia), invita il lettore a riflettere per capire se è vittima della difficoltà di dire di no. Sembra un problema psicologico banale, ma in realtà non lo è. E riguarda molte persone.
L'autrice individua quattro trappole che ci spingono a dire di sì controvoglia: voler essere gentili; voler essere amati, rispettati, accettati; la paura di perdere amici, amanti, lavoro, famiglia; la sensazione di non avere il diritto di dire di no. Il libro ha le caratteristiche di un manuale pratico. Corinne Sweet, giornalista e coordinatrice di gruppi di counseling, adotta un orientamento cognitivo-comportamentale: è dell'opinione che il modo di agire possa essere modificato intervenendo sui pensieri e invitando il lettore a sperimentare nuovi modelli di comportamento.

Come rimedi, prescrive frasi da mandare a memoria come mantra, o esercitazioni in cui si dovrebbe agire "come se". Cioè come se fossimo già sicuri di noi stessi e assertivi fino a quando il nuovo comportamento si rinforza, sovrasta le vecchie abitudini, diventa spontaneo. Il manuale è ricco di esempi: l'autrice ricostruisce dialoghi tipici in cui si nota l'esito del dire di sì; poi la stessa situazione viene ripetuta, questa volta con l'uso del no.

Scelte
Riguardo alla necessità di modificare il proprio comportamente, commenta:
«E' sol una questione di scelta. Se riuscite a fermarvia a chiedervi "E' questo che voglio?", saprete agirea per il meglio dal prossimo minuto». Ma è davvero facile cambiare? Lella Ravasi Bellocchio, scrittrice e psicanalista junghina del CIPA (Centro italiano di psicologia analitica), risponde: «Il cambiamento è un processo che dura tutta la vita. Quello vero, interiore, richiede lapazienza di passare attraverso i diversi stadi della trasformazione e l'intelligenza per saper riflettere su di sé». Per la donna spesso è più difficile dire di no, il motivo? «La donna - spiega Ravasi Bellocchio - è spesso in conflitto con una parte di sé, il lato materno accogliente, che la spinge a mettersi nei panni dell'altro.

Per poter dire di no deve allontanarsi dall'identificazione con l'altro e ritrovare la propria autonomia, che non vuol dire egocentrismo, ma capacità di focalizzarsi su se stessa, avere rispetto verso se stessi». L'eterno dibattito relativo al mettere al primo posto se stessi o gli altri può trovare soluzione in un ragionevole equilibrio mediano.

L'importante è riuscire a scegliere consapevolmente l'atteggiamento da adottare e non sentirsi schiavi della compulsività. La socio-psicologa Paola Leonardi, fondatrice del Centro Autostima Donna (Milano) ritiene che l'aumento dell'autostima, storicamente carente nella donna, sia un traguardo importante per evitare le trappole del sì. Rinvigoriti dall'autostima, si inizia a credere che il no non porta necessariamente all'abbandono e, se dovesse accadere, avremo fiducia nel fatto che riusciremo a crearci nuovi affetti. «Nel rapporto uomo-donna - aggiunge - ci sono aspettative reciproche che rendono difficile dire di no.

Questo è tipico di una relazione tradizionale in cui la divisione dei ruoli è stereotipata». Passiamo all'infanzia: i "no" dei bambini sono solo capricci? «Nel periodo dei no a oltranza è importante lasciare esprimere il bambino, perché la scoperta di questa nuova difesa dal potere che i "grandi" hanno su di lui segna l'inizio della autodeterminazione, un passo importante nella formazione del senso di sé . Viceversa, è rilevante che il genitore sappia dire di no al bambino, spiegandone le ragioni, per insegnare al figlio ad accettare limiti, regole, per abituarlo alla natura reale e ordinaria del dissenso nell'esistenza».

Conformismo
Il dissenso si affronta quotidianamente, viene naturale pensare che non sia solo un problema dell'individuo, ma abbia anche una dimensione sociale. Michele Stufflesser, psicanalista della SPI (Società psicoanalitica italiana) e primario psichiatra all'ospedale di Sesto San Giovanni (Mi), spiega: «Dire di no è importante per difendersi dal conformismo. Nella nostra società, sempre più competitiva e consumistica, c'è spesso un'adesione acritica a un modello culturale narcisistico. Può essere importante fare l'elogio dell'indignazione, cioè dire di no a quello che sentiamo sbagliato e inaccettabile. C'è un appiattimento delle idee che porta all'indifferenza e all'acquisizione di un pensiero prevalentemente centrato sulla concretezza e sull'esteriorità. Manca lo stimolo per recuperare convinzioni personali». Ma in che misura si dovrebbe dispensare il sì o il no? «Dire troppi no rende l'individuo rigido, incapace di accettare l'altro diverso da sé. Pronunciare troppi sì, invece, può essere espressione di un atteggiamento psichico onnipotente per cui non esistono limiti e regole» conclude Stufflesser.

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