lunedì 23 novembre 2015

Hunger Games - La trilogia cinematografica

Arrivato all'ultimo capitolo della trilogia cinematografica (anche se con mio rammarico non ho ancora letto i libri originali) posso finalmente esprimere la mia opinione su questa saga che mi ha incuriosito in questi ultimi anni. 
Devo dire che francamente il mio interesse è sceso in modo esponenziale dal primo capitolo all'ultimo, e già questo non è stato un buon segno, ma ovviamente non potevo permettermi di non vedere tutti i film per potermi fare un'idea complessiva della storia e comunque del progetto cinematografico. In qualche modo, arrivato alla fine, posso dire che, se si riguardano di seguito, i quattro film si può apprezzare di più la complessità della vicenda, che non nella frammentarietà data dallo spazio che intercorre tra l'uscita di un film e l'altro.  Quattro capitoli perchè ovviamente come tutte le grandi saghe che si rispettano, negli ultimi anni soprattutto, l'ultimo capitolo deve essere
necessariamente diluito in due film, così da mantenere sempre alto l'interesse dello spettatore (?) e prolungare l'attesa per scoprire finalmente qual è la conclusione di una vicenda piena di imprevisti e colpi di scena. A volte questa "attesa" però diventa decisamente snervante, e fa calare il desiderio, più che aumentarlo, e questa è stata la sensazione che ho provato io man mano che la saga procedeva e i film uscivano al cinema. 
Nel complesso posso dire che la spettacolarità del primo film e soprattutto l'interesse per una vicenda abbastanza fuori dal comune hanno fatto molto presa in me, tanto da spingermi a continuare nella visione della saga; procedendo però mi sono reso conto che la complessità degli elementi inseriti facevano in modo che la storia avesse bisogno di una "lettura" più continuativa, e la divisione in tre capitoli (e quattro film!), almeno per quanto mi riguarda, non ha aiutato molto nella comprensione. E' vero che i temi affrontati e il desiderio di mantenere un personaggio principale, quello della Ghiandaia Imitatrice, come custode di una morale più alta rispetto a quella di tutto il sistema che la circonda, tranne forse del suo compagno e amico di avventure, Peeta Mellark, con il quale sembra avere un rapporto alla pari, fa si che si apprezzi il messaggio più ampio che il film vuole mandare. Se vogliamo si può dire che sia un messaggio anche abbastanza leggibile, poco confuso in quella serie di battaglie che popolano questi tre capitoli, ma pur sempre un messaggio, rivolto ovviamente prima di tutto ai giovani, i destinatari primi di questa serie di libri, che però si fa un po' "trito e ritrito", e che nella conclusione tende a diventare quasi banale e melenso, perdendo della forza originaria, quella del primo capitolo, dove i sentimenti di sincerità e lealtà non erano offuscati dai mille stratagemmi di depistaggi creati per sviluppare una trama ricca di colpi di scena che tendono più all'effettaccio che non al valore simbolico che perduri. 
Un film che parla di lealtà dunque? Direi che alla conclusione sembra che tutto si riduca più a un'dea generale di ribellione più che di forza e lealtà contro il potere negativo di un dittatore. Una ribellione che si riflette tanto nella testardaggine di Katniss quanto nella rivolta dei Distretti, ma che sembra gradualmente perdere la distinzione dalla sua accezione negativa per diventare un'idea confusa offerta gratuitamente senza una vera e propria spiegazione, quasi come un grido di rivolta senza uno scopo. 
Io ho avuto quest'impressione, ma non perchè il messaggio non ci sia, ma solamente perchè a parer mio è stato sviluppato in modo troppo articolato e confuso, cercando più una carica di avventura epica più che la ragionata riflessione su situazioni delicate che possono riguardare ognuno di noi, specialmente adesso. 
In generale mi sento di non poter votare questa saga con più di un 6,5, anche se devo ammettere che per l'idea del capitolo iniziale sarei partito da un bel 8. 

T.M.
 

martedì 17 novembre 2015

Gli ultimi saranno ultimi - Massimiliano Bruno

Mi stupisce la freddezza con cui il pubblico ha accolto questo film. Mi stupisce principalmente perchè al di là della storia, tremendamente attuale, la bravura degli attori sa mantenere il film ad un livello estremamente alto, dove la passione scaturisce non tanto dalle situazioni che vengono a crearsi quanto dal trasporto con cui le vicende vengono vissute dai personaggi. I sentimenti, i movimenti, gli sguardi, perfino i silenzi di questi personaggi muovono qualcosa che difficilmente riesce a lasciare indifferenti, per questo mi domando come mai il pubblico in generale abbia valutato così scarsamente questo lungometraggio e ancor di più mi sorprende come mai le sale in cui è stato proiettato siano state così vuote. Ne avrà risentito per una scarsa pubblicità forse, o per l'eccessiva pubblicità dei suoi concorrenti (forse il pubblico si sarà preservato per Star Wars, e posso capirlo in questo periodo di crisi in cui il prezzo dei biglietti per andare al cinema anzichè agevolare il pubblico sembra allontanarlo volontariamente, 8€ per un biglietto! Fortunatamente io ho avuto la possibilità di godermi questo film ad un prezzo agevolato e quindi sono stato più che felice di averne approfittato). 
Tornando al film, ha parecchi punti a suo favore, che vanno anche oltre alla bravura dei suoi interpreti, infatti non è da trascurare i temi che sono stati inseriti al suo interno, che seppur non approfonditi vanno a fare da contorno ad una vicenda centrale dove la tensione è solo latente, ma dove ogni "briciola" alimenta la valanga che si preannuncia fin dall'inizio. 
Non me la sento di svelare qui i temi che vengono toccati perchè comprometterei la visione del film per chi non l'avesse ancora visto, ma dirò solamente che la delicatezza con cui vengono analizzate alcune situazioni, ed il modo pacato con cui lo fanno i personaggi, senza buonismo ma anche senza superficialità, aiuta il pubblico ad accoglierle nel proprio quotidiano, come se potessero far parte anche del nostro presente, ed in modo assolutamente indiscriminato. Perchè i "drammi" che ognuno di noi affronta sono solo nostri, e nessuno può sapere veramente cosa proviamo, eppure ci sono situazioni in cui tutti sembrano esserne partecipi, soprattutto in un piccolo paesino, sembra che tutti debbano sapere tutto, ma a volte la verità è che semplicemente certe cose a noi stanno bene così come sono, anzi, siamo capaci addirittura di amarle, e anche quando queste situazioni non ci stanno bene le affrontiamo a nostro modo. C'è un momento però in cui qualcosa scatta, e forse sentiamo che anche noi dovremmo reagire, sentiamo che forse subire il giudizio degli altri, o ancor preggio la loro compassione ci mostrano che la reazione potrebbe essere l'unico modo ci salvarci, di farci sentire ancora vivi. 
Questo film dimostra che ognuno di noi sa benissimo la posizione che occupa, e a volte la accettiamo, arrivando addirittura ad amarla. Questa nostra posizione però, così duramente accettata non può essere ulteriormente minata, perchè quando non si chiede di più, è difficile accettare di ottenere di meno, ed è lì che scatta la reazione, una reazione di conservazione, in cui il nostro io cerca di mantenere per lo meno la sua condizione per sopravvivere. 
Voto con un 8,5 perchè l'intensità che ho visto in queste interpretazioni, e la profondità con cui certe emozioni sono state trasmesse al pubblico, raramente l'ho trovata in film che avevano le pretese di essere dei capolavori. 

T.M.

lunedì 2 novembre 2015

Il segreto di Caspar Jacobi - Alberto Ongaro

Sottilmente perverso. Queste sono le prime parole che mi vengono in mente per descrivere questo romanzo subito dopo la fine della sua lettura. Amo molto Ongaro come autore, in quanto mi sono innamorato del suo romanzo "La taverna del Doge Loredan" che ha saputo ammaliarmi come pochi romanzi di autori italiani. Il romanzo che mi appresto a recensire però, nonostante sia stato molto apprezzato e paragonato a "La taverna del Doge Loredan", non mi ha dato minimamente lo stesso "brivido". 
Come nel tradizionale sistema narrativo di Ongaro si rimane ammaliati dalle vicende, dai personaggi e dalle parole che li uniscono, eppure in questo romanzo non ho trovato lo stesso spirito "burlone" ma allo stesso tempo "mistico" che l'autore aveva saputo trasmettermi negli altri romanzi, e in particolare ne "La taverna del Doge Loredan" per l'appunto. Diciamo che in generale il romanzo procede bene, lasciandosi leggere, ma il tutto rimane tremendamente slegato per ricomporsi (circa) alla fine, ed anche abbastanza sbrigativamente ed in modo anche abbastanza "distaccato", ossia lasciando tutto in mano al lettore. Ok, l'autore ha forse voluto un po' prenderci in giro, quello che ha sapientemente fare in ogni suo romanzo, però qui la cosa gli è riuscita un tantino peggio; sarà l'ambientazione (New York), sarà il periodo, saranno dei personaggi che non si caratterizzano mai lungo tutta la storia, come se il romanzo si stesse scrivendo nello stesso istante in cui viene letto. E' decisamente apprezzabile lo sforzo di creare una suggestione di questo tipo nel lettore, qualcosa che ti permetta di confrontarti con il testo senza subirlo passivamente, eppure allo stesso tempo il sistema utilizzato risulta tremendamente disorientante (volontariamente? boh).
Posso valutare il romanzo solo attraverso due sensazioni: quella percepita durante la lettura, e quella in seguito alla conclusione del romanzo. Nel primo caso mi sono ritrovato in mezzo ad un labirinto di messinscene spesso poco interessanti e quindi "deludenti" per lo sviluppo di un romanzo, anche se poi mi sono reso conto che non era la logica quella che l'autore cercava in questo romanzo, bensì la "non logica", una specie di "mondo delle meraviglie" che scaturisce direttamente dalla testa di un romanziere. La seconda sensazione invece, quella della conclusione, è stata principalmente di sollievo, ma non per aver portato a termine il romanzo, anche perchè come ho detto si fa leggere tranquillamente, anche se non dà grandissime soddisfazioni a livello di "sorprese", ma per il fatto che non appare poi così scontato, e riesce in qualche modo a riscattarsi stravolgendo ulteriormente il piano narrativo e ribaltando chi legge verso l'ipotesi più banale, ma allo stesso tempo la meno ovvia, proprio perchè nasce da un percorso tortuoso "assurdamente logico". 
In poche parole non è semplice valutare questo romanzo, eppure riesce a catturarti in qualche modo, e non ti lascia insoddisfatto. Posso quindi tranquillamente valutarlo con un bel 7, e sarei felicissimo di leggere altri pareri di persone che decideranno di affrontare questa lettura, così da poter in qualche modo confrontarmi con altre "percezioni" di questa storia. 

T.M.

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