venerdì 19 settembre 2014

Il matrimonio alchimistico di Alistair Crompton - Robert Sheckley

Mi sono accostato a questo romanzo dopo averlo lungamente osservato sul ripiano della mia libreria per lungo tempo, affascinato dalla copertina inquietante e dal titolo un po' criptico e sinistro. Nel momento in cui mi sono deciso ad affrontarne la lettura però l'ho divorato; non che ci sia da stupirsene in quanto è un libro relativamente breve, scorrevole e se vogliamo anche abbastanza semplice, per lo meno all'apparenza. Più si procede con la lettura infatti e più ci si rende conto che è una sorta di Mondo delle Meraviglie, e noi siamo Alice, catapultati in situazioni assurde che risultano del tutto normali, personaggi impossibili che si comportano con estrema naturalezza in contesti decisamente contorti che neppure dopo un'attenta lettura riusciamo a sbrogliare e rendere anche minimamente più chiari. Forse perchè quello è l'obiettivo dell'autore. 
Questo romanzo in poche parole mi ha lasciato interdetto, confuso, persino nel finale, prevedibilissimo eppure allo stesso tempo inaspettato, perchè quando qualcosa è estremamente palese diventa l'ultima cosa che ci aspetteremmo, ma quando accade, quando ce lo troviamo davanti, capiamo che non poteva essere diversamente, bastava guardare un pochino più attentamente dentro noi stessi e ci saremmo accorti che era troppo ovvio, e che in altro modo non poteva andare. Anche perchè la vicenda di Alistair è la vicenda di tutti noi, la storia di ogni comune mortale insoddisfatto di ciò che ha, alla continua ricerca del pezzo mancante, di quel qualcosa che "sicuramente" può dargli la felicità. E non è l'altra metà, ma l'altra parte di noi stessi, quella che non sappiamo tirare fuori al momento giusto, quella che ci tirerebbe fuori da situazioni imbarazzanti, quella che ci farebbe fare bella figura quando invece sembriamo degli idioti. Ecco, quella parte di noi che ci rende frustrati perchè non compare mai al momento giusto, quel piccolo aspetto di una personalità che vorremmo cambiare per avere successo, con gli amici, con le donne, nel lavoro... ma esisterà davvero quella parte di noi? O è solo una scusa per non apprezzare ciò che siamo? Anche perchè si dice spesso: stavamo meglio quando stavamo peggio. E forse anche dentro noi stessi. Rifletteteci. 
Voto con un 8 perchè è un romanzo (breve) davvero acuto, che merita di essere letto, e di farci una piccola riflessione. 

T.M.

mercoledì 3 settembre 2014

The Tommyknockers - Le creature del buio - Stephen King

Davvero arduo recensire quest'opera. Innanzitutto perchè l'ho letta poco dopo un altro grande "mattone": "The Dome"; e stranamente i due romanzi hanno molto in comune, ma hanno anche tantissime differenze. Purtroppo ho letto questi due volumi in modo invertito, ossia ho letto prima il più recente e poi quello più vecchio, anche se c'è da dire che "The Dome" nasce da una bozza che viene prima dell'uscita di entrambi i romanzi, quindi in qualche modo ho seguito la successione di idee dell'autore, anche se poi i risultati non sono stati poi così esaltanti, nè per la sua produzione, nè per la mia lettura. 
Cercherò di non di dilungarmi troppo, anche perchè sarebbe difficile fare un discorso coerente su questo testo, in quanto di coerente c'è ben poco da individuare all'interno si questo; parto dal fatto che l'idea di fondo è sostanzialmente molto simile a quella utilizzata per "The Dome", solo che qui viene utilizzata in modo decisamente diverso, e per alcuni aspetti in modo peggiore: la storia tratta sempre l'argomento alieno, anche se su "The Dome" non è immediatamente chiaro, mentre per il romanzo in questione viene praticamente subito definito, infatti protagonista è un'astronave aliena interrata, per la quale viene subito messa in atto un'azione di dissotterramento da parte di uno degli abitanti, che poi coinvolgerà l'intera comunità. Ecco l'altro punto in comune con "The Dome", anche qui l'influenza aliena agisce su una comunità ben definita, solo che nel caso di "The Dome" avevamo un limite invalicabile che separava questa dal resto del mondo, mentre in "The Tommyknockers" la barriera si crea gradualmente, e non è qualcosa di palpabile, ma solo un'atmosfera che diventa via via sempre più velenosa per chi non appartiene al ristretto gruppo della cittadina interessata dall'influenza dell'astronave. 
E' difficile decidere quali sono i punti su cui soffermarsi, perchè per assurdo per "The Tommyknockers" sono molti gli aspetti trattati, anche se in maniera confusa, mentre per "The Dome" il contesto alieno è solo un pretesto per parlare del rapporto tra le persone che sono rimaste intrappolate, quindi una specie di analisi psicologica del genere umano. In "The Tommyknockers" l'aspetto umano è sempre forte, sarebbe ridicolo se non fosse così dato che  le opere di King puntano sempre molto ad approfondire gli aspetti dei sentimenti umani e delle loro contraddizioni, solo che qui si fanno talmente foschi e assurdi che a volte sfugge l'idea di fondo che lo scrittore vorrebbe introdurci; sembra quasi che si abbandoni a patetiche scenette "horror" condite da profonde riflessioni interiori che però non portano da nessuna parte. 
Ho arrancato per terminare questo romanzo, posso dirlo con tutta onestà. La fatica che ho messo per leggere questo testo non è stata ripagata dalla conclusione che ho raggiunto, anche se non me ne pento del tutto perchè mi ha permesso di vedere una serie di analogie tra due opere di King che sono decisamente diverse seppure di fondo molto uguali. Mi resta la domanda che credo sorgerà a tutti i lettori attenti come me: come mai King decide di "imitare" se stesso? Perchè sviluppare un tema che fondamentalmente è già stato sviluppato in un'altra opera? E soprattutto perchè farlo in due modi così diametralmente opposti tanto che l'efficacia di uno diventa un autentico buco nell'acqua per l'altro? Ok, "The Tommyknockers" è stato sviluppato prima, e "The Dome" è stato rimaneggiato dopo, forse ha potuto creare qualcosa che fosse una specie di risarcimento per quello che non era stata l'opera precedente. 
E' difficile farne una valutazione, soprattutto alla luce della palese componente schizofrenica del romanzo. Voluta? Non voluta? Non saprei dirlo. Forse leggere questo romanzo con la sensazione di essere completamente fumati, o bevuti, era l'intento dell'autore, un modo per immedesimarsi con la "trasformazione" in opera in tutti i protagonisti, questa mutazione verso qualcosa di "malato" che degenera senza portare fondamentalmente a niente di concreto. Io sono dell'idea che l'opera sia confusa e basta, meriterebbe una sana "ristrutturazione", per non parlare di "chiarificazione", e comunque non mi sento di inserirla tra le migliori opere del maestro, anzi. Ha saputo sviluppare idee migliori negli anni, ed in modo molto più interessante, seppure prolisso. 
Voto con un 5, perchè non me la sento di dare un voto più basso; però mi sarei attestato sul 4,5 scarso. 
Lascio a voi la scelta di leggerlo oppure di scansarlo, certo se si vuole conoscere il maestro...bisogna accostarsi anche ai suoi lati più "oscuri". 

T.M.

giovedì 10 luglio 2014

L'ultimo giurato - John Grisham _ L come legge - Sue Grafton

Ho deciso di dedicare un post a due degli ultimi libri che ho iniziato a leggere, ma non ho mai portato a termine. Mi sono detto: perchè non scrivere anche di ciò che non si riesce a leggere? Spiegare quello che ci ha portato ad abbandonare un romanzo, così da dare la possibilità agli altri di ragionare anche sulle nostre prime impressioni di un testo che non siamo riusciti a terminare. 
Ammetto che è un argomento un po' scabroso per me, in quanto, per chi mi conosce, io non sono un tipo che facilmente riesce a lasciare un libro a metà, ma nemmeno un libro appena iniziato (figuriamoci quasi finito!). 
Cercherò di spiegare quali sono i motivi per cui ho abbandonato questi romanzi:

L'ultimo giurato - John Grisham
Secondo romanzo che affronto di questo autore. Il primo, "Il re dei torti", mi aveva fatto una bellissima impressione, tanto che, non essendo neppure uno dei romanzi più acclamati di Grisham, mi aveva portato ad andare alla ricerca di qualcosa di più conosciuto, ma non del tutto "osannato" (come "L'uomo della pioggia", "Il Cliente", ecc.); ho ripiegato dunque su "L'ultimo giurato", il quale mi ha da subito affascinato, in quanto la scrittura trasporta immediatamente il lettore affianco al protagonista e ti accompagna nelle sue vicende con ammaliante simpatia e un tocco di mistero. Il tutto però muore brevemente in un centinaio di pagine, o forse anche meno. Parlandoci chiaro, la scrittura resta sempre molto buona, però l'approccio diventa più pedante e la storia si fa confusa, direi estremamente confusa, tanto che ad ogni capitolo cominciavo a non capire più quel era l'argomento trattato!
Ecco il classico caso in cui ho cercato fino all'ultimo di arrivare alla fine, ma a meno di 100 pagine dalla conclusione giuro che volevo letteralmente lanciarlo dalla finestra (per non dire peggio), e mi costa un sacco dire una cosa del genere, perchè io odio, e ribadisco ODIO qualsiasi danneggiamento dei libri, di qualunque carattere siano, belli o brutti, romanzi o altro, per me i libri sono sacri. Questa reazione però nella mia vita è successa un'altra volta, e mi vergogno pure a dirlo, leggendo "Brava a letto", un esperimento che non si ripeterà mai più  (almeno lo spero). 

L come legge - Sue Grafton
Per questo romanzo spenderò poche parole, perchè di sicuro di più non ne merita. La Grafton è un'autrice che ho scoperto parecchi anni fa, quando ero ancora giovane, e che mi aveva affascinato con il suo romanzo "M come male", della serie l'alfabeto del crimine. Sospeso per molti anni il mio "rapporto" con lei però mi aspettavo di ritrovare lo stesso interesse, la stessa sottile ironia che permeavano quel primo romanzo, appena successivo a quello di cui sto trattando ora. Invece mi sono ritrovato di fronte ad un romanzo scialbo, disarticolato, se vogliamo anche molto banale nella narrazione e decisamente poco originale nella trama. A metà non ho resistito, ho dovuto abbandonarlo, perchè troppi autori che conoscevo avevano affrontato magnificamente gli stessi temi, ed anche dove la trama poteva mancare di originalità erano stati in grado di affascinarmi con la loro scrittura o anche solo con i loro personaggi; qui invece ogni singolo elemento era irritante, compresa la protagonista (come avevo fatto ad affezionarmi tanto a lei in quel romanzo letto anni fa?!?). Posso solo dire che non so se è stato il momento sbagliato per affrontarlo, oppure se è stato un passo falso dell'autrice, resta il fatto che quel libro stava diventando un boccone davvero indigeribile, è per questo che ho preferito lasciarlo nel piatto. 

Per riassumere, non intendo dire di evitare questi due romanzi, ma di prendere atto delle mie parole in merito; questo mi porta a valutarli entrambi al massimo con un 4, forse 5 per "L'ultimo giurato".

T.M.
 



lunedì 9 giugno 2014

Acque morte - W. Somerset Maugham


Suggestivo come sempre, il racconto di Maugham è questa volta un insieme di avventura, sentimento, mistero e cinismo (immancabile). Dico questa volta perchè ogni volta Maugham sa sorprendere il lettore co
n un nuovo soggetto, sempre diverso, sempre appassionante ma soprattutto sempre descritto in maniera superba. 
In "Acque morte" troviamo inoltre una struttura narrativa abbastanza diversa dalle altre opere dell'autore; estremamente interessante il modo di introdurre i personaggi, accennando a ciascuno di loro prima, così che ci si possa fare un'idea di chi sono, e descrivendoli dettagliatamente poi, magari nei capitoli successivi, capovolgendo completamente l'immagine che ci siamo fatti di loro. E' come scoprirli volta per volta, dettaglio per dettaglio, vedendoceli illuminati dalla flebile luce di un cerino, per poi lasciarci sbalorditi quando improvvisamente li colpisce la luce accecante del sole. 
Il protagonista poi è come pochi, un esemplare di "rara bellezza"; nella sua delicata noncuranza osserva tutto e viene osservato, ma non agisce in alcun modo per modificare gli eventi. E' una sorta di specchio dello spettatore che ci rappresenta e che ci accompagna ad osservare tutto ciò che accade, di tanto in tanto facendoci scivolare nella sua molle compostezza, che nonostante tutto non ci disgusta, seppur dovrebbe. 
C'è poco da dire di questo romanzo, se non che va assolutamente letto, perchè è un romanzo che come pochi mette in scena l'assurdità della natura umana e le inaspettate conseguenze che può portare un viaggio fuori programma.
Voto con un 9,5. Non è il massimo, ma solo perchè amo soggetti diversi. Per la scrittura merita un 10 pieno. 

T.M.

domenica 8 giugno 2014

Le età di Lulù - Almudena Grandes

Abbastanza difficile esprimere l'impressione che mi ha dato leggere questo romanzo. Iniziato con grandi aspettative, soprattutto notando immediatamente una scrittura fluida, quasi perfetta, coinvolgente e ritmata, proprio come una musica di fondo che accompagna tutto il romanzo; poi però sono incappato in un paio di momenti in cui il tutto sembrava vacillare verso l'assurdo, lo schema sembrava essersi rotto e la trama pareva assumere i tratti di un puzzle insensato creato solo per mettere insieme un'immagine di lussuria sorretta da una buona scrittura. Devo ammettere però che con il terzo atto del libro sono arrivato a capire la meccanica del tutto, e mi sono fatto piacevolmente travolgere dalle ultime ottanta pagine, dove finalmente si ritorna a prendere confidenza con i personaggi, che si erano persi in mezzo alla strada, un po' come capita davvero nelle loro vicende. 
Complessivamente posso dire che è un romanzo aggraziato, equilibrato, che va preso forse a piccole dosi e non con una lettura impetuosa come io invece l'ho affrontato, con la smania di capire la logica dell'intreccio e dei continui salti temporali. Bisogna farsi guidare delicatamente dalla sua trama, scoprendola un po' per volta, assimilandola, senza sforzarsi di capirla, e apprezzando la fine, nella sua semplicità, come un "puro" esempio d'amore, un sentimento che va oltre i confini, qualunque confine, e ti travolge lasciandoti intontito, a volte per giorni, a volte per anni, e a volte per sempre, facendoti dubitare di chi sei, ma facendoti sempre ritrovare negli occhi dell'altro. 
Non fatevi sconvolgere dal tema trattato, non spaventatevi dalle parole utilizzate, questo libro va oltre la volgarità, perchè infatti dimostra la naturalezza degli istinti umani, e li racconta con la loro forma sinuosa, accattivante, scandalosa e a volte violenta, ma li racconta per mostrare l'altra faccia dell'amore, quello che a volte lega inconsapevolmente due persone. 
Voto con un bel 8.5, ma ammetto che meriterebbe una seconda lettura.

T.M.

lunedì 2 giugno 2014

Lampi - Dean R. Koontz

Eccomi alle prese con una lettura che ho lungamente atteso. Sembra assurdo da dire ma questo è uno di quei libri che da ragazzo ho visto in libreria, ho sempre desiderato leggere, ma non ho mai acquistato. Ora finalmente sono riuscito a decidermi di prenderlo e leggerlo tutto d'un fiato. 
Premesso che non è la prima lettura di Koontz ma di sicuro la prima dopo tanti tanti anni; l'ultimo romanzo che ho letto di questo autore risalirà infatti a più di 15 anni fa, ma devo dire che la mia opinione su di lui non è molto cambiata, ossia che sa come intrattenere il suo pubblico. C'è una piccola osservazione da fare però, in questo caso ha scelto un tema un po' complesso, quello del viaggio nel tempo, che non ha saputo gestire sufficientemente bene secondo me; rimangono infatti molte domande senza risposta, e soprattutto verso la fine (questo per quanto riguarda la mia lettura, poi ovviamente ognuno ha un approccio diverso) mi sarei aspettato un capovolgimento, un cambiamento più incisivo degli eventi, soprattutto in merito alla missione intrapresa dal protagonista, cosa che invece non avviene. Non è semplice da spiegare senza svelare particolari essenziali della storia, quindi mi limiterò a dire che mi aspettavo un passaggio più intelligente, qualcosa che permettesse di comprendere meglio il significato di tutti gli eventi che si sono succeduti nei vari anni a tutti i protagonisti, qualcosa che valesse veramente la pena dopo tante peripezie per sopravvivere.
Diciamo che ci sono le premesse per un buon romanzo, che invece alla fin fine risulta solo mediocre, in quanto i personaggi, così forti e ben delineati, perdono di colpo tutta la loro potenza, e le vicende, così ben scandite, anche da buoni colpi di scena, finiscono per diventare scialbe e prive di un vero interesse, quasi banali e arrurde. Le ultime 50 pagine in poche parole mi hanno deluso, non per la scelta del finale quanto per la mancanza di una vera e propria struttura di fondo. 
A malincuore devo votare con un 6 scarso, nonostante il libro tenga incollato il lettore alle pagine (quasi fino all'ultimo). Deludente, forse c'era troppa carne al fuoco o forse c'era una scarsa ambizione. 

T.M.

lunedì 19 maggio 2014

Vacanze in villa - Madeleine Wickham

Ecco un libro che mi sento assolutamente di difendere dalle numerose recensioni negative che avevo letto. Ho preso in mano questo romanzo con il timore di avere una grande delusione, soprattutto dopo aver letto i numerosi commenti negativi fatti da lettori che molto probabilmente amano la "nuova" Kinsella rispetto alla "riscoperta" Madeleine Wickham che fa da sfondo alla brillante scrittrice venuta alla ribalta con "I love shopping". 
Il romanzo infatti è stato un vero e proprio mix di inventiva narrativa, buona scrittura e sottile divertimento. Certo bisogna ammetterlo, in alcuni punti ha un tantino calcato la mano, e per questo si notano gli scivoloni su argomenti a sfondo sessuale un tantino esagerati e fuori luogo; a parte questi piccoli inserti, decisamente trascurabili (e probabilmente anche eliminabili) il romanzo procede piacevolmente e la storia, con i suoi piccoli colpi di scena, è godibile. C'è un sentore di "non finito" arrivati all'ultima pagina, una sensazione dovuta probabilmente al fatto che nella storia sono stati inseriti numerosi elementi per ciascun personaggio, ma pochi sono stati veramente approfonditi. 
Sono d'accordo sul fatto che non sia un capolavoro (mi stupirei se proclamassi il contrario) ma bisogna dar merito alla "vecchia Kinsella" che ha costruito un romanzo niente male, che pur non avendole dato successo le ha permesso di crescere come scrittrice portando alla luce un racconto che di fondo ha molta più sostanza di quella che potremmo trovare in qualunque altra scrittrice (mediocre) che tenta di lanciarsi nel mondo della scrittura negli ultimi anni. 
Voto con un bel 7, decisamente meritato. 

T.M.

martedì 6 maggio 2014

Al di qua del paradiso - Francis Scott Fitzgerald

Non mi sento realmente degno di recensire un libro di Fitzgerald, soprattutto dopo l'enorme sforzo che ho dovuto fare per leggerlo. Ritengo che questa mia difficoltà derivi principalmente dal fatto che non ero pronto a leggere questo testo, e di conseguenza avrei fatto molto meglio ad arrestarmi in tempo. Come mi succede la maggior parte delle volte però mi sento portato a concludere una lettura, in quanto mi sembra sempre di fare un torto all'autore. In questo caso ho fatto un torto a me stesso, in quanto questo libro mi ha solo procurato un'emicrania allucinante. 
Cercherò di descrivere il più oggettivamente possibile l'impressione che questo romanzo ha avuto su di me: ho trovato il racconto come una serie sconclusionata di fatti, uniti solo dall'epoca che hanno in comune, dove un personaggio, probabilmente nemmeno così tanto protagonista, salta a destra e a sinistra inconsapevole di ciò che vuole. Ho avuto di fondo la sensazione che qualcosa mi richiamasse all'atmosfera che mi aveva trasmesso la lettura di "Delitto e castigo" di Dostoevskij, anche se spero vivamente di non dovermi mai pentire di questa mia analogia; sostanzialmente è un senso di claustrofobia, ovviamente diversa da quella del romanzo russo, eppure si respirava questa sua sensazione di inadeguatezza, cosa in evidente contrasto con tutto ciò che invece l'epoca e le situazioni descritte da Fitzgerald vorrebbero esprimere. Forse il nodo sta proprio in questo, l'assurdità di un'epoca in cui la gran parte delle persone sono talmente sicure di loro stesse che invece arrivano a perdere completamente il controllo su loro stessi, e soprattutto sugli altri, anche se credono di averli in pugno per il solo fatto di volerlo. 
Mi fermo qui, perchè non credo che sarei realmente in grado di proseguire, posso solo dire che è stata una lettura estenuante, che mi sembrava non dovermi portare da nessuna parte (cosa che in effetti è successa), e che probabilmente dovrò riaffrontare in seguito, con maggiore lucidità.
Per ora posso votare con un 6, ma è un voto che non mi sento di sottoscrivere appieno, forse perchè il romanzo aveva in serbo molto di più di quanto io sono riuscito a cogliere. 

T.M.

giovedì 10 aprile 2014

The Dome - Stephen King

Sopravvissuto all'ennesimo "malloppone" di King eccomi di nuovo qui a discutere del Re. 
1036 pagine che si fanno leggere in un soffio, questo bisogna ammetterlo. Finalmente King è ritornato a raccontare una storia nella vecchia, splendida maniera in cui aveva cominciato tutte le sue avventure, come quelle di Castle Rock (es. Cose preziose, Cujo, La metà oscura, La zona morta), tra l'altro città vicina a questa nuova, inquietante Chester's Mill.
Lo stile è fluido, mai insicuro, o superfluo; ogni elemento è sapientemente calibrato ed incastrato in uno scenario che sembra non avere nemmeno una crepa (tranne forse verso la fine, ma ci ritornerò). 
La storia che viene raccontata in questo libro è appassionante non tanto perchè ricca di suspense derivante da fatti insoliti o terrificanti, bensì perchè si basa su emozioni calate su persone comuni, ancor più che in altre novelle dello stesso autore. Ho notato che, forse volutamente, King non approfondisce veramente i personaggi; non sappiamo tutto di loro, anche perchè sarebbe impossibile dato il numero non indifferente di comparse e personaggi principali, ma affronta la situazione narrata mostrando in maniera incisiva il loro carattere predominante. Questa Cupola infatti ci permette di osservare ciascuno di loro, anche senza conoscerlo realmente, ma possiamo vedere come interagisce con gli altri, come gioisce e come soffre nelle varie situazioni, e quindi alla fine siamo noi gli spettatori di questo "teatrino" tanto quanto lo sono i militari che si appostano al di fuori della Cupola per monitorare la situazione, una specie di libro nel libro; ed allo stesso modo non possiamo reagire per intervenire, per aiutarli, questo ci fa sentire ancora più inermi di quanto possiamo esserlo leggendo le avventure/disavventure di qualsiasi personaggio di King, perchè questa volta è proprio lui a mettere un "vetro" tra noi e loro, aumentando ancora di più, per assurdo, il senso di appartenenza con la storia.
Sconvolgente poi che tutto ciò che accade all'interno della Cupola si svolge nel breve arco temporale di soli 7 giorni; in una settimana si crea un "ecosistema" a sè stante dove ognuno cambia il proprio ordine di priorità e la sua posizione nei confronti degli altri, ogniuno reagisce eppure allo stesso tempo non lo fa in modo propriamente "naturale", magari organizzato, adattandosi alla nuova condizione, come potrebbero fare degli animali (selvatici). Ogni personaggio invece sembra costretto a calare la propria maschera, e comincia ad emergere il vero e proprio "io" di ognuno di loro, anche inconsapevolmente a volte; ciascuno si mette a nudo davanti agli altri, e facendolo assume automaticamente anche una posizione di difesa, anche se non si sa bene nei confronti di cosa. 
Si potrebbe dire molto di più, perchè queste 1000 pagine sono una buona analisi della mente umana, anche di quella più perversa, e dell'interazione tra i soggetti presentati; mi soffermo invece a fare una piccola osservazione sul finale, che come al solito è il piccolo neo dei libri di King, quella piccola "imperfezione" che stona nell'armonia generale. Premetto che questo finale è stato molto meno deludente di altri, anzi, credo che il Re abbia cercato di dare quel qualcosa in più questa volta, pur rischiando di cadere nel banale, nel "già visto-già sentito", ma trattenendolo da quel baratro per mantenerlo su una linea abbastanza neutra, un po' calibrabile dal lettore, il quale può approfondire o meno un ragionamento su ciò che gli viene proposto come soluzione, oppure accettarlo come una semplice ovvietà non troppo scontata. 
Vorrei dare un consiglio al Maestro (sempre che sia possibile dargliene), di visualizzare un po' prima il suo finale la prossima volta, di costruirlo meglio, di costruirci attorno anche un po' della storia che è il fulcro del suo libro invece di lasciarlo sempre come una cosa a se stante, anche perchè sarebbe bello una volta poter leggere un'opera ritmata fino all'ultima pagina, dove non compaiono all'improvviso elementi ad effetto che "servono" per portarci alla conclusione del libro. E non serve nemmeno che questi finali siano apocalittici, oppure estremamente profondi, ma devono comunque far sembrare al lettore di non aver cambiato libro nelle ultime 150 pagine, ma che la storia è sempre la stessa, ed è tutta apprezzabile allo stesso modo. 
Voto con un bel 8,5 perchè questa volta sono rimasto davvero soddisfatto.

T.M.

giovedì 27 febbraio 2014

Preda - Michael Crichton

Primo libro che leggo di Crichton, autore al quale non ho mai avuto particolare desiderio di avvicinarmi. Perchè? Non so bene spiegarlo. Forse perchè avevo paura che fosse il classico "raccontastorie" saturo di avventura, azione e poca sostanza. Mi sono ricreduto? In parte.
Cominciando dai contenuti posso assolutamente dire che le fonti d'informazione che usa per i suoi romanzi sono accuratamente riportate oltre ad essere visibilmente numerose. Per questo è davvero apprezzabile che ogni racconto non nasca puramente da un ghiribizzo dell'autore che svegliatosi una mattina decide di buttare giù una storia, ma ci sono dietro ricerche su argomenti cari allo scrittore, approfonditi e rielaborati per essere "digeriti" da noi lettori, conditi ovviamente con una buona dose di elementi "tipici" che lo rendano interessante e godibile. 
Sulla narrazione ho qualche perplessità, ma nemmeno tanto grande. In effetti è un autore che si fa leggere, e questo è già un gran merito. Il problema è che forse si fa leggere anche troppo, nel senso che le pagine scorrono via come leggere i fumetti, o peggio ancora, come guardare un film. Infatti la narrazione è quella tipica di un romanzo che rispecchia lo schema dei film, in particolare film di avventura, quindi sembra più una "bella sceneggiatura" che non un vero e proprio romanzo, con tanto di inquadrature, suspance e colpo di scena, molto programmato e molto ricercato. Troppo forse, perchè molti romanzi puntano sul colpo di scena, solo che abbinare questo al ritmo serrato di una pellicola che ti scorre davanti agli occhi, con pochi contenuti e tante immagini, questo ti lascia leggermente di stucco, anche se ti mantiene incollato alla pagina. 
Ecco, è forse questo che non ho apprezzato del libro. Non il fatto che non si facesse scollare di dosso, ma che lo facesse nel modo sbagliato, o meglio, nel modo che io non ritengo migliore per un buon romanzo, ossia quello di attirare il lettore con una buona dose di indizi, con parole che caricano di aspettative e svelano sottilmente cruciali passaggi della storia. Ok, ammetto di aspettarmi troppo da un romanzo a volte, ma quello che volevo dire è che spesso è piacevole farsi accompagnare dolcemente all'interno della storia, anche facendosi scrollare improvvisamente, ma nel modo giusto; in questo romanzo invece mi è sembrato di assistere ad una specie di film di fantascienza in cui ci sono buoni e cattivi e dove tutto sembra preludere ad una catastrofe piena di sparatorie, bombe e fine del mondo. Forse non sono fatto per queste storie, anche se ciò non toglie che il soggetto di base era estremamente interessante e decisamente attuale, cosa che invoglia ancora di più a conoscere gli sviluppi della storia. 
Diciamo che posso votare con un 7, per dare una seconda possibilità a questo autore di cui ho letto solo un romanzo e tra l'altro nemmeno uno dei primi e famosi best sellers. Speriamo in meglio!

T.M.

martedì 18 febbraio 2014

Il discepolo - Elizabeth Kostova

Questo romanzo è rimasto nella mia libreria per lungo tempo lo ammetto, e rimpiango anche che sia stato così, anche se forse ogni libro ha il suo tempo, ed il tempo per questo era proprio ora, apprezzato nella sua interezza, senza stacchi nè complicazioni. Bisogna ammetterlo, per ogni momento c'è un libro come per ogni libro c'è il suo momento.
C'è molto da dire su questo libro però, perchè nei suoi confronti si è alimentato una specie di amore e odio, ma non vi spaventate, non sto partendo con una recensione che stronca il romanzo dopo una premessa tanto promettente. Però non posso fare a meno di pensare che, nonostante la lunghezza, questo romanzo aveva bisogno di qualche pagina in più. Ecco il classico errore degli autori che sanno scrivere bene, non riescono a concludere degnamente quello che hanno iniziato (Stephen King), o per meglio dire, non riescono a trovare la degna conclusione ad una storia che hanno portato avanti con tanto amore e dove ci hanno trascinati dentro, anche a forza, di cui ci hanno fatto innamorare e di cui non riuscivamo più a fare a meno. Si arriva a quelle ultime pagine dove tutto sembra dire: Probabilmente può, quando non ti lascia con l'amaro in bocca per tutte le pagine lette, quando ti ha fatto apprezzare ogni momento, ogni pagina, così che le ultime risultano trascurabili in confronto al resto.
Per restare sul campo dei contenuti posso solo apprezzare questa prova letteraria dove l'utilizzo dell'immagine di Dracula è stata fatta magistralmente. Il personaggio infatti non era mai stato trattato in questo modo, trasportato ai giorni nostri senza risultare squallidamente trasformato e nemmeno risultando "vecchio" in modo imbarazzante. Anche se c'è da dire che Dracula risulta molto più interessante quando è solo nominato, mentre comincia a perdere parecchia sostanza nel momento in cui "entra in scena". Per assurdo!
La narrazione del romanzo poi è un altro punto forte. Infatti i continui salti temporali, dovuti unicamente alla "lettura" da parte dei personaggi di testi che spaziano per più generazioni, è davvero un modo intrigante di far procedere una storia che in realtà è già scritta! Due volte!
Concludo semplicemente dicendo che è un romanzo che merita di essere letto, basta non aspettarsi troppo dalla conclusione della storia, ma lasciarsi trasportare dalla narrazione, dai viaggi dei personaggi, dalle bellissime descrizioni, storiche e paesaggistiche, che caratterizzano questo libro. 
Voto con un 7,5, forse potrei dare qualcosina in più, però ritengo ancora che sia troppo importante saper concludere una storia per meritarsi un apprezzamento vero e proprio, quindi preferisco restare su una linea neutra. 

T.M.

mercoledì 22 gennaio 2014

Nero a Manhattan - Deaver Jeffery

Partendo dal presupposto che è il primo libro di questo bravissimo autore... posso perdonarlo. Eh sì, perchè ci sono parecchie cose da perdonare, come il fatto di costruire l'intero romanzo su una storia frivola e su un protagonista diciamo altrettanto poco incisivo. 
Tutto ruota attorno alla morte di un vecchietto, un caro vecchietto amico di una ragazzina di vent'anni, la quale è talmente poco sconvolta dalla morte dell'uomo da interessarsi unicamente al fatto che questo, presumibilmente, nascondesse dei soldi sui quali lei è ben interessata a mettere le mani. Ma la banalità non si ferma qui, questi soldi dovrebbero magicamente comparire per una strana relazione tra un film, descrizione di una storia realmente accaduta, in cui da una rapina in banca un poliziotto avido si appropria dei soldi nascondendoli in un cimitero. La rapina accade quarant'anni prima. Ora, io non riesco a vedere i nessi logici per imbastirci una storia, tanto che neppure Deaver la costruisce realmente, infatti tutto è incentrato tulle relazioni amorose della ventenne, che indaga su inesistenti relazioni tra il morto e questa rapina (ovviamente dimenticandosi completamente che questi era un suo "grande" amico), e che non ha nessuna prospettiva per il proprio futuro se non quella di sopravvivere cambiando lavoro e domicilio a seconda dell'umore. 
Non capisco come ci si possa affezionare ad un personaggio del genere, probabilmente si ha un po' di compassione per lui, ma la cosa finisce qui. Comunque, tutto questo per dire che i tratti fondamentali di Deaver, la sua maestria nel descrivere la psicologia dei personaggi, di tratteggiare sentimenti forti e situazioni ancora più incisive, qui sembra non esistere, se non con qualche piccolo sprazzo finale dove i "classici colpi di scena alla Deaver" compaiono magicamente per creare un po' di trambusto nelle ultime 50 pagine, così da non farci pensare di aver completamente buttato via il nostro tempo, ed i nostri soldi, in una lettura inutile e scontata.
Forse sono stato troppo cattivo, ma come esordio devo dire che fa acqua da tutte le parti, soprattutto pensando agli splendidi romanzi che sono iniziati con il "Collezionista d'ossa" e sono continuati con i successivi. 
Mi aspettavo un esordio più deciso, invece mi sono trovato di fronte ad una storia moscia più adatta ad un pubblico di teenager incazzati e demotivati. 
Punto a favore? Non si può dire che non sia un libro che si fa comunque leggere nonostante tutti i suoi difetti, quindi complimenti per la scrittura, ma ringrazio infinitamente il cielo che i contenuti sono migliorati con le produzioni successive, altrimenti Deaver non sarebbe lo scrittore che conosciamo ora. 
Voto con un 6.

T.M.

giovedì 16 gennaio 2014

Il talento di Mr. Ripey - Patricia Highsmith

“Patricia Highsmith è una scrittrice che ha creato un mondo tutto suo, un mondo claustrofobico e irrazionale in cui entriamo ogni volta con la sensazione che un pericolo ci sovrasti, con la testa mezza girata all’indietro, perfino con una certa riluttanza, poiché sono piaceri crudeli quelli che ci apprestiamo a provare, finché a un certo punto, verso il terzo capitolo, la trappola è scattata, non possiamo più ritirarci, siamo condannati a vivere la storia sino al finale, in compagnia dell’ennesimo colpevole da lei tratteggiato.”  
Graham Greene.

Recensione (sono presenti spoiler):
Parliamo dunque del libro! Non ho mai letto nulla di minimamente assomigliante a questo romanzo, niente di più diabolicamente intricato, fantasticamente descritto, ed incredibilmente angosciante. Leggere "Il talento di Mr. Ripey" ti catapulta letteralmente in un altro mondo, un mondo fatto di psicosi, ansie, angosce, delitti assurdamente "semplici"; mentre si procede con i capitoli non si riesce a capacitarsi della bravura dell'autrice nel trasmettere le sensazioni del protagonista, che poi è il colpevole!, cosa ancora più assurda. Ci sentiamo quindi chiamati in causa a rispondere delle azioni di un personaggio assolutamente allucinato, ma che ormai fa parte di noi! Siamo noi! Come l'autrice sia riuscita a trasmettermi queste sensazioni resta per me ancora un'incognita. Posso dire questo perchè mentre leggevo il libro non ho fatto altro che vivere nella costante angoscia di essere scoperto, e non appena il protagonista ha avuto un attimo di respiro, circa a metà libro, quando le indagini si placano e tutto sembra filare per il verso giusto, ecco che improvvisamente anche il senso di angoscia che provavo è sparito, convinto di poter mettere per un attimo da parte la mia paura di essere braccato. Non nascondo di aver tirato un respiro di sollievo alla fine del libro, ma nonostante questo mi è rimasta l'irresistibile voglia di proseguire con i prossimi capitoli della storia, che ne conta ben quattro. 
Trailer
Quindi non posso fare altro che consigliare un'autrice (rivelazione per me) che sa veramente cosa significa saper scrivere, e che voto con un 9,5. Lo so, mi stupisco persino io del voto. Resta però quel mezzo voto che non riesco ancora a dare, perchè un dubbio mi tormenta: com'è possibile che a Mongibello e a Roma non fosse mai stata pubblicata una foto di Tom Ripley così che le persone che lo conoscevano come Dickie potessero smascherarlo? Confido che una minima spiegazione ci sia nel prossimo libro, ma non ne sono tanto sicuro. 

T.M.

martedì 7 gennaio 2014

Le brave ragazze combinano guai - Polly Williams

Immagino che qualcuno si possa stupire trovando una recensione di questo tipo dopo i "bei titoloni" postati recentemente. Eppure chi mi conosce dovrebbe sapere che sono una persona che legge di tutto, soprattutto perchè amo farmi stupire, e sono convinto che dietro ogni tipo di lettura ci sia un modo nuovo di stupirsi, anche se deriva da una chick lit come in questo caso.
Il libro in questione, "Le brave ragazze combinano guai", fa parte di una serie di libri di un'autrice che ho seguito fin dall'inizio, e che reputo la più affine ad uno stule paragonabile alla Kinsella; ma non fraintendetemi, non nel senso della forma, ma del contenuto e se vogliamo chiamarla così della "sostanza" (cosa difficile da tirare in ballo con libri del genere). La Williams infatti riesce a portare in scena situazioni molto interessanti, e spesso per niente scontate, ed a farlo in un modo fresco che molte altre scrittrici del genere faticano ad eguagliare, spesso perchè ricadono nella banalità degli argomenti, ma soprattutto dei luoghi comuni. Polly Williams invece, a differenza anche della bravissima Kinsella, privilegia una scrittura di sostanza, dove le frivolezze si affiancano ad un forte contenuto di significato per ogni singola ambientazione e situazione che viene messa in scena. Forse in questo assomiglia di più alla cara "vecchia" Madeleine Wickham (ossia il vero nome di Sophie Kinsella), dove al posto delle grandi risate viene fatto un po' di spazio per le medio-piccole riflessioni. Apprezzo questo modo di trattare questi argomenti perchè li toglie dalla classica patina di superficialità, e quindi dona al tutto un significato in più, elevandolo a qualcosa di più di una semplice "lettura da ombrellone". 
Ora non pensate che sia diventato pazzo, non ritengo assolutamente che questo tipo di letteratura possa essere minimamente ai livelli di altri autori da me letti e trattati in questi post (Vassalli, Mazzucco, Follet, King, ecc.), bisogna però riconosce che alcune autrici del genere chick lit possono notevolmente superare le altre, e per questo meritano di essere menzionate ed adeguatamente recensite. 
Detto ciò, questo romanzo in particolare mi ha soddisfatto decisamente meno di altre opere della stassa autrice ("Vita bassa e tacchi a spillo", "Baby o non baby"). Forse mi aspettavo questa "profondità" di cui ho accennato, questa accuratezza dei personaggi e delle situazioni che qui è venuta a mancare, seppure non completamente; stà di fatto che nel complesso si sono persi molti cardini dell'autrice che qui sembra essere molto frettolosa nel raccontare le situazioni, delineando talmente poco i personaggi che ho persino faticato a tenerli a mente! (pericolosamente grave nel caso di un libro di questo tipo! o forse mi distraevo facilmente?...) Non c'è molto altro da dire, le prime opere sono sicuramente migliori, ora dovrei affrontare un confronto con la produzione più recente ("La moglie peggiore del mondo", "Quanto mi ami da uno a dieci?").
Voto 6,5

T.M.

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