giovedì 2 giugno 2016

Il canyon delle ombre - Clive Barker

Ho resistito per 400 pagine, poi sinceramente è stato troppo per me. Nelle ultime 200 pagine ho saltellato qua e là (e credetemi che la comprensione del testo non ne ha risentito minimamente, un po' come quando si guarda "Beautiful" in TV e non si perde mai il filo della trama perchè comunque i personaggi non combinano gran che e la trama non procede così velocemente) arrivando alla fine e facendomi un'idea del procedere degli avvenimenti che concludevano questa storia tanto assurda quanto banale.
Il mio difetto è di non saper lasciare andare i libri quando non si meritano la giusta attenzione, intendo quando veramente ci si rende conto che non hanno il valore che ci si aspetta e non quando invece si è scelto solo il momento sbagliato per leggerli. 
Non ho molte parole da spendere si questo libro, anche perchè credo ne abbia spese fin troppe l'autore per scriverlo, parole inutili che si poteva risparmiare, ed utilizzate nemmeno nel modo più brillante in cui si poteva farlo. Lo hanno paragonato a King, ma francamente anche il peggiore "King" che ho letto (e mi riferisco alla "Storia di Lisey", che stranamente in alcune parti mi ha ricordato questa trama) è stato molto più interessante di questo testo, soprattutto per il modo in cui era scritto, mentre qui si trovano una serie di banalità, un'accozzaglia di personaggi e di fatti, spesso slegati, a volte insignificanti, ma il più delle volte ridicoli. 
Arrivato alla 400esima pagina l'assurdità degli eventi era arrivata ad un punto tale che non ho potuto non aprire gli occhi e dirmi che non si meritava dell'altro tempo da parte mia. Mi aveva prosciugato fin troppo. 
Mi dispiace da un lato, perchè Barker non è un cattivo autore, ma in questo testo sembra essersi perso, e persino dove King si perde nei meandri della sua mente allucinata riesce comunque a mantenere una certa lucidità, per lo meno una coerenza d'insieme che determina un certo ritmo della storia, come una colonna sonora, che forse non giungerà mai ad una fine coerente, ma di sicuro ti accompagna alla conclusione senza deluderti troppo durante il percorso. 
Voto con un 4. 

T.M.

giovedì 26 maggio 2016

Ci sono momenti

Ci sono momenti in cui ci sentiamo invincibili, ma di solito durano poco, giusto il tempo di osservarci bene, e rivalutare la situazione. Questi brevi momenti però si lasciano dietro come una scia di profumo, qualcosa che ci rimane addosso, e della quale ci liberiamo con molta più difficoltà. E' forse la sensazione di aver trascurato un particolare, un dettaglio che probabilmente non era così insignificante. Perchè se osserviamo il soffitto della nostra stanza e riusciamo a vedere oltre, se riusciamo a sentire il profumo delle emozioni e ci lasciamo scuotere da queste, per quanto delicatamente, oppure violentemente a volte, significa che probabilmente un dono ce l'abbiamo, ed è il dono di sentire, quello che siamo e quello che vibra attorno a noi; è per questo che, magari anche solo per un istante, riusciamo a metterci in armonia con quello che ci circonda, ed in quel momento riusciamo a "capire", a vedere oltre, a dare valore a ciò che sembra insignificante, e quindi acquistiamo valore anche noi, diventando più forti, più sicuri, più decisi di quanto ci saremmo mai aspettati di essere. Ma se questo momento esiste davvero, se non l'abbiamo sognato, non ci abbiamo fantasticato, allora quando svanisce cosa dovremmo fare per tenerlo con noi? Assolutamente nulla. Perchè quel momento non se ne va, ma resta dentro di noi; quella sensazione deriva solamente dal fatto che abbiamo aperto gli occhi e ci siamo guardati effettivamente dentro. 

T.M.

martedì 2 febbraio 2016

Elementi

Si compongono dentro la mia testa, come fossero piccole particelle di qualcosa che vuole assumere un'identità; crescono e poi spariscono, ma ritornano e si moltiplicano, come idee confuse attanagliano i miei sensi. Sono elementi di un presente che non riesco a codificare, strumenti sconosciuti di un'arte che mi dovrebbe appartenere. 
Mi guardo volteggiare sopra l'insensatezza di tutte queste battaglie e non comprendo neppure più la necessità di far uscire queste parole che mi gelano il sangue, e quindi ammutolisco, nel vano tentativo di calmare questo vorticare di inutili luci che non fanno altro che creare ombre sulle mie certezze. 
Osservo una spirale di ricordi che ormai non diventa altro che un feticcio inutile, tempo sprecato che scivola tra le pieghe di un presente stanco, pesante, dove i colori sbiadiscono sotto la luce della speranza. 
Allora provo solo a guardare di fronte a me, l'immagine sfocata  di quello che mi aspetta, con l'obiettivo di trovare un sentiero che mi allontani da tutta questa incertezza.

T.M.

lunedì 1 febbraio 2016

L'usanza del paese - Edith Wharton

Sono qui finalmente a parlare di questo romanzo che ha accompagnato molte delle mie serate ultimamente, e nonostante ritenga siano troppe nella media dei miei tempi di lettura abituali, posso solo incolpare me stesso e la poca costanza che ho messo nel proseguire abitualmente la lettura, ma per il resto il romanzo merita ogni istante che gli ho dedicato.
Se non sapessi che questo romanzo è stato scritto nei primi anni del novecento direi che rispecchia benissimo le situazioni che possiamo trovare comunemente nei romanzi di Candace Bushnell, come "New York sexy", sebbene innegabilmente scritto meglio, ammettiamolo, la prosa della Wharton non ha nulla di paragonabile a quella della Bushnell, per quanto anch'essa possa essere una brava narratrice. Resta il fatto che questa caratteristica ne fa davvero una lettura per tutti, anche per chi pensa che un romanzo dell'autrice di "L'età dell'innocenza" possa essere un obiettivo troppo alto; la Wharton è in grado di parlare a tutti, e lo fa in modo estremamente intrigante e seducente, nonchè splendido e raffinato.
L'autrice ci porta all'interno dei più bei salotti newyorkesi facendoci respirare l'aria snob che potremmo respirare ora in un qualsiasi attico della grande mela. E ci trascina poi nella pomposa Parigi dei primi del novecento, che poco si discosta dall'altezzosa metropoli che ci possiamo trovare di fronte ora. Insomma, sono luoghi "conosciuti" che ci fanno respirare aria di contemporaneità, sebbene la storia ci trasporti comunque in una dimensione parallela dove le usanze del paese sono "leggermente" diverse, ma non meno rigide di quelle che potremmo trovare ora.
Undine, la protagonista, si muove in ogni ambiente con un'apparente sicurezza che trasuda un costante terrore di apparire....nel modo sbagliato. Undine, un personaggio terribilmente ostinato, eppure con un fascino perverso; la sua figura ci ammalia non tanto per la sua bellezza quanto per la spudoratezza con cui si immerge in qualsiasi situazione mettendo davanti ad ogni cosa i propri desideri materiali, facendola apparire la cosa più normale che esista al mondo. Eppure Undine appare un personaggio estremamente fragile, ci sono momenti in cui la si vorrebbe proteggere, specialmente quando, in presenza del vecchio amico Elmer Moffat, abbandona ogni resistenza e si spoglia di ogni sua maschera per mostrare veramente il suo spirito dichiaratamente materialista. E' forse in questi momenti che la si apprezza meglio, perchè non mente a nessuno, soprattutto a se stessa, mentre nel resto del romanzo Undine appare come una persona che costruisce il proprio futuro sulle menzogne, quelle bugie che in qualche modo la possono rendere più affascinante agli occhi altrui, ma che invece a lungo andare non fanno che logorare il sentiero che ha deciso di percorrere, rischiando di farla precipitare nel bel mezzo del nulla che si è creata attorno.
Ci sarebbe da scrivere pagine e pagine su questo personaggio, ci sarebbe da dilungarsi sulla sfrontatezza che usa nei confronti dei propri genitori, oppure il quasi totale disinteresse nei confronti del figlio, oppure la freddezza con cui tratta ogni suo amante una volta ottenuto quello che credeva di desiderare. Insomma, Undine fa parlare di sè, anche quando si vorrebbe relegarla in qualche angolo nascosto dal quale non possa nuocere a nessuno, perchè questa donna riemerge ancora più forte di prima, perchè il suo ricordo, anche per chi l'ha solo intravista, non può essere cancellato; Undine è una donna che sa come far parlare di sè, e nonostante non si sia mai adeguata all'usanza del paese, nonostante abbia sempre fatto di tutto per comprenderla ma gli sia sempre sfuggito l'elemento essenziale che le permettesse di conciliare la sua vita con quella delle persone che le stavano attorno, alla fine questa donna non può far altro che accettare se stessa e prendere coscienza che solo nel proprio ambiente, e restando fermamente sè stessi, si può vivere, altrimenti si è sempre condannati a sopravvivere, perchè l'uomo non è un animale che sa adattarsi facilmente ai nuovi ambienti, soprattutto l'uomo Americano.
Voto con un 9,5 e lo consiglio a tutti, come una lettura spassosa, ma allo stesso tempo decisamente profonda.

T.M.

lunedì 28 dicembre 2015

Irrational man - Woody Allen

Negli ultimi anni Wody Allen ci ha abituati a vari cambiamenti di orientamento nel suo cinema, il quale non è più fatto di semplici fatti quotidiani esposti sul grande schermo al fine di porci alcune semplici ma fondamentali domande sulla nostra vita senza per questo riuscire a trovarne una risposta una volta usciti dalla sala; no, negli ultimi anni questo regista ha focalizzato la sua attenzione anche sulla regia, sul modo di esporre i fatti, sul montaggio, su un'attenta recitazione, piuttosto che su un'interessante struttura narrativa. Sia ben chiaro, elementi sempre presi uno alla volta e sfruttati nei suoi film quasi come sperimentazione, che ha portato a grandi risultati, come "Blue Jasmine", un film assolutamente ben strutturato, dove forse possiamo far coesistere due importanti elementi come l'ottima recitazione ed un sapiente montaggio (cose che non sempre si riescono a trovare contemporaneamente nei film di Woody Allen); ma anche a pessimi esempi come "Sogni e delitti", film decisamente noioso, dove si nota una carico eccessivo di aspettative da parte del regista forse dovuto al desiderio di raggiungere alti livelli dopo il successo di "Match point". 
Insomma, non mi soffermo ad analizzare pro e contro di ogni suo film altrimenti potremmo restare qui vent'anni, anche perchè considerando che produce un film all'anno, e praticamente solo il 30% è degno di nota, non vale la pena soffermarsi a sezionare ogni aspetto delle sue pellicole, ma basta valutarne l'impressione generale, il primo impatto se vogliamo, anche perchè le sue pellicole principalmente parlano di questo, delle cose semplici, di quelle che ci piacciono a pelle, e quindi credo che in tal modo andrebbero viste e valutate. Ecco, "Irrational man" probabilmente è troppo complicato, o meglio, forse vorrebbe esserlo ma finisce con l'essere noioso. L'impressione che mi ha dato questa pellicola è stata che mancava prima di tutto ogni traccia dello humor classico che ci si aspetta di trovare nei film di Woody Allen, e con questo non voglio dire che se manca allora non possiamo considerarlo un buon film (anche in "Match point" lo humor non era preponderante, ma comunque lo si sentiva presente, in qualche modo era nell'aria, e lo si percepiva guardando il film), ma in questo caso in particolare il film è pervaso da una sorta di languore che lo penalizza, come un'agonia (quella del protagonista?) che si trasmette allo spettatore che non riesce a capire dove effettivamente voglia arrivare il protagonista, che poi protagonista effettivamente non lo sembra, anzi, sembrano meglio strutturati i personaggi che gli ruotano attorno, specialmente la ragazza che diventa sua amante. E quindi il film vacilla tra dramma e assurdo, tra tensione e disappunto, e ci si trova a domandarsi se effettivamente abbia un senso trovare una profondità in qualcosa che si propone come profondo (la storia si costruisce attorno alla filosofia, ai concetti filosofici sull'esistenza dell'uomo e del suo scopo) oppure sia più semplice abbandonarsi all'assurdità di una vicenda dove il protagonista sembra accartocciarsi su se stesso perchè non sa più effettivamente chi è, anche quando crede di saperlo. 
Questo film mi ha lasciato parecchio perplesso, e probabilmente andrebbe riguardato (quando mai serve riguardare due volte un film di Woody Allen per capirlo!), e non so se questo sia una specie di pregio o di difetto, anche perchè probabilmente alla fine scoprirei che non c'era nulla da scoprire, o da capire, più di ciò che mi è stato trasmesso da questa prima visione. 
Per ora quindi mi sento di valutarlo con un 6, anche se credo che questa sufficienza sia leggermente alta per il valore effettivo della pellicola, ma c'è da tenere conto degli attori, e non sono per niente una cosa da sottovalutare in questo caso, e loro si meriterebbero un 8 pieno. 

T.M.

lunedì 23 novembre 2015

Hunger Games - La trilogia cinematografica

Arrivato all'ultimo capitolo della trilogia cinematografica (anche se con mio rammarico non ho ancora letto i libri originali) posso finalmente esprimere la mia opinione su questa saga che mi ha incuriosito in questi ultimi anni. 
Devo dire che francamente il mio interesse è sceso in modo esponenziale dal primo capitolo all'ultimo, e già questo non è stato un buon segno, ma ovviamente non potevo permettermi di non vedere tutti i film per potermi fare un'idea complessiva della storia e comunque del progetto cinematografico. In qualche modo, arrivato alla fine, posso dire che, se si riguardano di seguito, i quattro film si può apprezzare di più la complessità della vicenda, che non nella frammentarietà data dallo spazio che intercorre tra l'uscita di un film e l'altro.  Quattro capitoli perchè ovviamente come tutte le grandi saghe che si rispettano, negli ultimi anni soprattutto, l'ultimo capitolo deve essere
necessariamente diluito in due film, così da mantenere sempre alto l'interesse dello spettatore (?) e prolungare l'attesa per scoprire finalmente qual è la conclusione di una vicenda piena di imprevisti e colpi di scena. A volte questa "attesa" però diventa decisamente snervante, e fa calare il desiderio, più che aumentarlo, e questa è stata la sensazione che ho provato io man mano che la saga procedeva e i film uscivano al cinema. 
Nel complesso posso dire che la spettacolarità del primo film e soprattutto l'interesse per una vicenda abbastanza fuori dal comune hanno fatto molto presa in me, tanto da spingermi a continuare nella visione della saga; procedendo però mi sono reso conto che la complessità degli elementi inseriti facevano in modo che la storia avesse bisogno di una "lettura" più continuativa, e la divisione in tre capitoli (e quattro film!), almeno per quanto mi riguarda, non ha aiutato molto nella comprensione. E' vero che i temi affrontati e il desiderio di mantenere un personaggio principale, quello della Ghiandaia Imitatrice, come custode di una morale più alta rispetto a quella di tutto il sistema che la circonda, tranne forse del suo compagno e amico di avventure, Peeta Mellark, con il quale sembra avere un rapporto alla pari, fa si che si apprezzi il messaggio più ampio che il film vuole mandare. Se vogliamo si può dire che sia un messaggio anche abbastanza leggibile, poco confuso in quella serie di battaglie che popolano questi tre capitoli, ma pur sempre un messaggio, rivolto ovviamente prima di tutto ai giovani, i destinatari primi di questa serie di libri, che però si fa un po' "trito e ritrito", e che nella conclusione tende a diventare quasi banale e melenso, perdendo della forza originaria, quella del primo capitolo, dove i sentimenti di sincerità e lealtà non erano offuscati dai mille stratagemmi di depistaggi creati per sviluppare una trama ricca di colpi di scena che tendono più all'effettaccio che non al valore simbolico che perduri. 
Un film che parla di lealtà dunque? Direi che alla conclusione sembra che tutto si riduca più a un'dea generale di ribellione più che di forza e lealtà contro il potere negativo di un dittatore. Una ribellione che si riflette tanto nella testardaggine di Katniss quanto nella rivolta dei Distretti, ma che sembra gradualmente perdere la distinzione dalla sua accezione negativa per diventare un'idea confusa offerta gratuitamente senza una vera e propria spiegazione, quasi come un grido di rivolta senza uno scopo. 
Io ho avuto quest'impressione, ma non perchè il messaggio non ci sia, ma solamente perchè a parer mio è stato sviluppato in modo troppo articolato e confuso, cercando più una carica di avventura epica più che la ragionata riflessione su situazioni delicate che possono riguardare ognuno di noi, specialmente adesso. 
In generale mi sento di non poter votare questa saga con più di un 6,5, anche se devo ammettere che per l'idea del capitolo iniziale sarei partito da un bel 8. 

T.M.
 

martedì 17 novembre 2015

Gli ultimi saranno ultimi - Massimiliano Bruno

Mi stupisce la freddezza con cui il pubblico ha accolto questo film. Mi stupisce principalmente perchè al di là della storia, tremendamente attuale, la bravura degli attori sa mantenere il film ad un livello estremamente alto, dove la passione scaturisce non tanto dalle situazioni che vengono a crearsi quanto dal trasporto con cui le vicende vengono vissute dai personaggi. I sentimenti, i movimenti, gli sguardi, perfino i silenzi di questi personaggi muovono qualcosa che difficilmente riesce a lasciare indifferenti, per questo mi domando come mai il pubblico in generale abbia valutato così scarsamente questo lungometraggio e ancor di più mi sorprende come mai le sale in cui è stato proiettato siano state così vuote. Ne avrà risentito per una scarsa pubblicità forse, o per l'eccessiva pubblicità dei suoi concorrenti (forse il pubblico si sarà preservato per Star Wars, e posso capirlo in questo periodo di crisi in cui il prezzo dei biglietti per andare al cinema anzichè agevolare il pubblico sembra allontanarlo volontariamente, 8€ per un biglietto! Fortunatamente io ho avuto la possibilità di godermi questo film ad un prezzo agevolato e quindi sono stato più che felice di averne approfittato). 
Tornando al film, ha parecchi punti a suo favore, che vanno anche oltre alla bravura dei suoi interpreti, infatti non è da trascurare i temi che sono stati inseriti al suo interno, che seppur non approfonditi vanno a fare da contorno ad una vicenda centrale dove la tensione è solo latente, ma dove ogni "briciola" alimenta la valanga che si preannuncia fin dall'inizio. 
Non me la sento di svelare qui i temi che vengono toccati perchè comprometterei la visione del film per chi non l'avesse ancora visto, ma dirò solamente che la delicatezza con cui vengono analizzate alcune situazioni, ed il modo pacato con cui lo fanno i personaggi, senza buonismo ma anche senza superficialità, aiuta il pubblico ad accoglierle nel proprio quotidiano, come se potessero far parte anche del nostro presente, ed in modo assolutamente indiscriminato. Perchè i "drammi" che ognuno di noi affronta sono solo nostri, e nessuno può sapere veramente cosa proviamo, eppure ci sono situazioni in cui tutti sembrano esserne partecipi, soprattutto in un piccolo paesino, sembra che tutti debbano sapere tutto, ma a volte la verità è che semplicemente certe cose a noi stanno bene così come sono, anzi, siamo capaci addirittura di amarle, e anche quando queste situazioni non ci stanno bene le affrontiamo a nostro modo. C'è un momento però in cui qualcosa scatta, e forse sentiamo che anche noi dovremmo reagire, sentiamo che forse subire il giudizio degli altri, o ancor preggio la loro compassione ci mostrano che la reazione potrebbe essere l'unico modo ci salvarci, di farci sentire ancora vivi. 
Questo film dimostra che ognuno di noi sa benissimo la posizione che occupa, e a volte la accettiamo, arrivando addirittura ad amarla. Questa nostra posizione però, così duramente accettata non può essere ulteriormente minata, perchè quando non si chiede di più, è difficile accettare di ottenere di meno, ed è lì che scatta la reazione, una reazione di conservazione, in cui il nostro io cerca di mantenere per lo meno la sua condizione per sopravvivere. 
Voto con un 8,5 perchè l'intensità che ho visto in queste interpretazioni, e la profondità con cui certe emozioni sono state trasmesse al pubblico, raramente l'ho trovata in film che avevano le pretese di essere dei capolavori. 

T.M.

lunedì 2 novembre 2015

Il segreto di Caspar Jacobi - Alberto Ongaro

Sottilmente perverso. Queste sono le prime parole che mi vengono in mente per descrivere questo romanzo subito dopo la fine della sua lettura. Amo molto Ongaro come autore, in quanto mi sono innamorato del suo romanzo "La taverna del Doge Loredan" che ha saputo ammaliarmi come pochi romanzi di autori italiani. Il romanzo che mi appresto a recensire però, nonostante sia stato molto apprezzato e paragonato a "La taverna del Doge Loredan", non mi ha dato minimamente lo stesso "brivido". 
Come nel tradizionale sistema narrativo di Ongaro si rimane ammaliati dalle vicende, dai personaggi e dalle parole che li uniscono, eppure in questo romanzo non ho trovato lo stesso spirito "burlone" ma allo stesso tempo "mistico" che l'autore aveva saputo trasmettermi negli altri romanzi, e in particolare ne "La taverna del Doge Loredan" per l'appunto. Diciamo che in generale il romanzo procede bene, lasciandosi leggere, ma il tutto rimane tremendamente slegato per ricomporsi (circa) alla fine, ed anche abbastanza sbrigativamente ed in modo anche abbastanza "distaccato", ossia lasciando tutto in mano al lettore. Ok, l'autore ha forse voluto un po' prenderci in giro, quello che ha sapientemente fare in ogni suo romanzo, però qui la cosa gli è riuscita un tantino peggio; sarà l'ambientazione (New York), sarà il periodo, saranno dei personaggi che non si caratterizzano mai lungo tutta la storia, come se il romanzo si stesse scrivendo nello stesso istante in cui viene letto. E' decisamente apprezzabile lo sforzo di creare una suggestione di questo tipo nel lettore, qualcosa che ti permetta di confrontarti con il testo senza subirlo passivamente, eppure allo stesso tempo il sistema utilizzato risulta tremendamente disorientante (volontariamente? boh).
Posso valutare il romanzo solo attraverso due sensazioni: quella percepita durante la lettura, e quella in seguito alla conclusione del romanzo. Nel primo caso mi sono ritrovato in mezzo ad un labirinto di messinscene spesso poco interessanti e quindi "deludenti" per lo sviluppo di un romanzo, anche se poi mi sono reso conto che non era la logica quella che l'autore cercava in questo romanzo, bensì la "non logica", una specie di "mondo delle meraviglie" che scaturisce direttamente dalla testa di un romanziere. La seconda sensazione invece, quella della conclusione, è stata principalmente di sollievo, ma non per aver portato a termine il romanzo, anche perchè come ho detto si fa leggere tranquillamente, anche se non dà grandissime soddisfazioni a livello di "sorprese", ma per il fatto che non appare poi così scontato, e riesce in qualche modo a riscattarsi stravolgendo ulteriormente il piano narrativo e ribaltando chi legge verso l'ipotesi più banale, ma allo stesso tempo la meno ovvia, proprio perchè nasce da un percorso tortuoso "assurdamente logico". 
In poche parole non è semplice valutare questo romanzo, eppure riesce a catturarti in qualche modo, e non ti lascia insoddisfatto. Posso quindi tranquillamente valutarlo con un bel 7, e sarei felicissimo di leggere altri pareri di persone che decideranno di affrontare questa lettura, così da poter in qualche modo confrontarmi con altre "percezioni" di questa storia. 

T.M.

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