mercoledì 8 luglio 2015

Felicità astratta

Mi sono reso conto che la felicità a volte assume l'aspetto di un pensiero fugace, come un'idea che ti sfugge via prima ancora di averla sviluppata nella tua mente, un qualcosa che ti fa leggermente sorridere perché ti sembra di averla quasi sotto mano, ma poi svanisce, come un profumo evocativo che però non riesci ad associare a qualcosa di concreto,  che ti stimola la mente, anche se per poco, ma non ti lascia niente di tangibile da poter assaporare veramente. O come quando esprimi un concetto e all'improvviso quella parola così fondamentale che lo spiegherebbe alla perfezione ti sfugge dalla mente, e sembra così vicina, eppure così lontana. 
A volte mi sembra questo la felicità, un istante sospeso, dove ti sembra che potresti raggiungere tutto, con ognuno dei tuoi sensi, ma poi svanisce, lascianditi con la strana sensazione che non sia veramente esistito quel momento, o quella parola, o quel profumo, che sembravano racchiudere tutto e invece ti lasciano a bocca asciutta, dubitando non solo dei tuoi sensi ma anche delle tue emozioni. 

T.M.

lunedì 11 maggio 2015

Ricordi sbiaditi

Fermo in mezzo al nulla, osservi intorno a te tutta la gente che si muove, concitata rincorre qualcosa, qualunque cosa gli permetta di vivere un'emozione. E tu osservi questo silenzio, questo vuoto di senso, quest'interminabile ossessione di ricordi spenti, di momenti sbagliati, di sorrisi incerti. E ricordi. Ricordi quello che hai paura di dimenticare, quello che sembra svanire, quello che si arrampica dentro di te e ostinatamente cerca di sopravvivere, quello che ancora ti permette di vivere, di amare, di piangere e di sognare. Ricordi, quelle grandi storie fatte di piccoli profumi, quelle tenere sensazioni, morbide, come un batuffolo di lana, che delicato ti sfiora la pelle e ti fa rabbrividire. Sorridi, pensando all'assurdità di un gioco, alla semplicità di un momento, sbiadito, eppure ricco di profumi, di rumori, di emozioni che ti fanno battere il cuore. Ricordi, quando tutto era più semplice, quando potevi restare a guardare, e tutto intorno a te cambiava, lentamente, troppo lentamente, che ancora potevi sognare. Allora cerchi un fermo immagine, per capire cosa c'è da ricordare, ora. Forse niente, forse tutto, forse troppe cose fatte di niente; quindi ti volti, e abbracci forte quel cuore che batte di speranza, che si anima di sogni, che vive in quei grandi ricordi e ancora ti permette di entrare, di scrutare e sorridere. Perchè ancora ci puoi andare, in una valle sterminata, dove la sabbia sotto ai tuoi piedi scivola via, ricca di tutto quello che sei e che ancora cerchi di essere, e ti ci aggrappi con le mani facendola scorrere tra le dita, sapendo che un barattolo non potrà mai contenerla tutta, ma sperando che quello che resta nel tuo cuore possa bastare per alimentare la tua determinazione a non cambiare.

T.M.

lunedì 23 marzo 2015

Muri di vetro

Non so nemmeno perchè mi ritrovo qui a scrivere. Forse per mettere a tacere quella mia vocina interiore che continua a parlare, a sussurrarmi parole ma che io ascolto solo dentro, senza darle voce. Quella vocina mi dice che sarebbe ora che mi dessi una mossa, che cominciassi a mostrare veramente chi sono, che aprissi davvero il mio cuore, ancora una volta, ancora come un tempo. Io ascolto questa vocina ma con il mio sguardo perso nel vuoto mi sento lontano da tutto e da tutti, e non vedo questo spazio in cui muovermi, mi sento isolato in quella stessa stanza da cui quella vocina cerca di uscire.  Una piccola trappola di cristallo, fatta di tutte quelle certezze create dalla mia mente per proteggere ogni mio passo, ogni mio movimento, ogni mio sentimento. Ma come faccio ad essere ancora ridotto a questa condizione dopo anni che questo mio corpo tenta di reagire? Non ho ancora trovato la combinazione che sleghi queste catene dall'incertezza e mi permetta di muovere quei passi sicuri verso...verso tutto, ogni cosa, ogni situazione, ogni persona, verso tutto quello che senza volerlo mi fa paura, verso quelle cose che mi sembrano tanto più grandi di me, verso quelle vette che mi sembrano così irraggiungibili.
Come fare? Ascoltare? Devo ancora ascoltare? Quella vocina insistente che mi pulsa nella testa? Ormai fa parte di me, ma se per un attimo la mettessi da parte forse potrei aprire gli occhi e vedere da solo la strada, anzi, forse la strada esisterebbe proprio per questo, perchè sarei io a costruirla, e non la fragilità dei miei pensieri, dei miei insistenti ragionamenti, delle mie assurde ossessioni che rendono inconsistente ogni passerella che collega i miei sogni alla vita. Potrei costruire quella strada con gli stessi mattoni con cui ho rafforzato le fondamenta dei miei obiettivi in passato, che pur avendo dovuto cambiare direzione sono comunque rimasti in piedi, perchè li ho percorsi, senza timore.
Inutile farsi scoraggiare, i muri di vetro ostacoleranno ogni giorno la nostra strada e noi ci andremo a sbattere il naso, ma sarà inutile fermarsi a guardarli con la faccia rivolta al cielo, aspettando una risposta, questi muri vanno infranti con la forza della decisione, con l'intento di proseguire, anche se ci si può far male.

T.M.

sabato 14 febbraio 2015

L' uomo scomparso - Jeffery Deaver

Premesso che sono un fan accanito di Jeffery e sto "percorrendo" la saga di Lincoln Rhyme fin dal primo romanzo. Questo capitolo però mi ha lasciato un tantino perplesso rispetto ai preced
enti. Diciamo che sommariamente il ritmo è rimasto lo stesso, anzi, forse ancor più incalzante; nel complesso però l'opera mi è apparsa alquanto "carica", e a tratti confusa. Deaver sembra aver voluto inserire a forza troppi elementi, talmente tanti che sembrano smaterializzare completamente la trama del romanzo, rendendola un ammasso di tasselli che a stento compongono un quadro generale comprensibile e soprattutto accettabile. Non metto in dubbio la narrazione che è di ottimo livello, specialmente per i primi tre quarti del libro, mentre alla fine comincia a farsi un po' confusa, soprattutto per colpa dei continui colpi di scena. Quello che metto in dubbio è l'idea generale: era davvero necessario architettare una storia così complessa per raccontare la vicenda di un illusionista che vuole riscattarsi? Il tema di fondo è anche interessante, e soprattutto si presta benissimo ad essere utilizzato dal grande Deaver, infatti l'illusionismo e tutti i trucchi correlati fanno in modo che le vicende siano ancor più avvincenti ed enigmatiche, solo che mi sono reso conto che rispetto ad altri romanzi lo scrittore non spiega gradualmente i ragionamenti dietro alle analisi di Rhyme, per farci arrivare poi alle sue scoperte, ma piuttosto opta per il colpo di scena che viene poi svelato attraverso la spiegazione del modo in cui si è arrivati a tali conclusioni, una narrazione al contrario che compromette un po' il tutto, perchè anche se da una parte ci fa vivere la sorpresa, dall'altra non ci da la giusta suspense che ci si aspetterebbe da questi romanzi, quell'adrenalina derivante dalla ricerca fatta dai protagonisti per arrivare gradualmente alla soluzione di un enigma. Insomma, in poche parole la struttura, leggermente cambiata, compromette un po' il tutto, e la trama, un tantino abusata, storpia la conclusione del tutto, che di solito arriva ad un punto di sollievo, mentre qui lascia ancora sulle spine, seppure sia tutto finito e concluso, come se ci si dovesse aspettare ancora qualcosa, perchè per Deaver non è mai abbastanza in queste pagine.
Voto con un 6,5, non credo si meriti molto di più, avrebbe potuto sfruttare decisamente meglio il materiale che aveva a sua disposizione. 

T.M.

venerdì 19 settembre 2014

Il matrimonio alchimistico di Alistair Crompton - Robert Sheckley

Mi sono accostato a questo romanzo dopo averlo lungamente osservato sul ripiano della mia libreria per lungo tempo, affascinato dalla copertina inquietante e dal titolo un po' criptico e sinistro. Nel momento in cui mi sono deciso ad affrontarne la lettura però l'ho divorato; non che ci sia da stupirsene in quanto è un libro relativamente breve, scorrevole e se vogliamo anche abbastanza semplice, per lo meno all'apparenza. Più si procede con la lettura infatti e più ci si rende conto che è una sorta di Mondo delle Meraviglie, e noi siamo Alice, catapultati in situazioni assurde che risultano del tutto normali, personaggi impossibili che si comportano con estrema naturalezza in contesti decisamente contorti che neppure dopo un'attenta lettura riusciamo a sbrogliare e rendere anche minimamente più chiari. Forse perchè quello è l'obiettivo dell'autore. 
Questo romanzo in poche parole mi ha lasciato interdetto, confuso, persino nel finale, prevedibilissimo eppure allo stesso tempo inaspettato, perchè quando qualcosa è estremamente palese diventa l'ultima cosa che ci aspetteremmo, ma quando accade, quando ce lo troviamo davanti, capiamo che non poteva essere diversamente, bastava guardare un pochino più attentamente dentro noi stessi e ci saremmo accorti che era troppo ovvio, e che in altro modo non poteva andare. Anche perchè la vicenda di Alistair è la vicenda di tutti noi, la storia di ogni comune mortale insoddisfatto di ciò che ha, alla continua ricerca del pezzo mancante, di quel qualcosa che "sicuramente" può dargli la felicità. E non è l'altra metà, ma l'altra parte di noi stessi, quella che non sappiamo tirare fuori al momento giusto, quella che ci tirerebbe fuori da situazioni imbarazzanti, quella che ci farebbe fare bella figura quando invece sembriamo degli idioti. Ecco, quella parte di noi che ci rende frustrati perchè non compare mai al momento giusto, quel piccolo aspetto di una personalità che vorremmo cambiare per avere successo, con gli amici, con le donne, nel lavoro... ma esisterà davvero quella parte di noi? O è solo una scusa per non apprezzare ciò che siamo? Anche perchè si dice spesso: stavamo meglio quando stavamo peggio. E forse anche dentro noi stessi. Rifletteteci. 
Voto con un 8 perchè è un romanzo (breve) davvero acuto, che merita di essere letto, e di farci una piccola riflessione. 

T.M.

mercoledì 3 settembre 2014

The Tommyknockers - Le creature del buio - Stephen King

Davvero arduo recensire quest'opera. Innanzitutto perchè l'ho letta poco dopo un altro grande "mattone": "The Dome"; e stranamente i due romanzi hanno molto in comune, ma hanno anche tantissime differenze. Purtroppo ho letto questi due volumi in modo invertito, ossia ho letto prima il più recente e poi quello più vecchio, anche se c'è da dire che "The Dome" nasce da una bozza che viene prima dell'uscita di entrambi i romanzi, quindi in qualche modo ho seguito la successione di idee dell'autore, anche se poi i risultati non sono stati poi così esaltanti, nè per la sua produzione, nè per la mia lettura. 
Cercherò di non di dilungarmi troppo, anche perchè sarebbe difficile fare un discorso coerente su questo testo, in quanto di coerente c'è ben poco da individuare all'interno si questo; parto dal fatto che l'idea di fondo è sostanzialmente molto simile a quella utilizzata per "The Dome", solo che qui viene utilizzata in modo decisamente diverso, e per alcuni aspetti in modo peggiore: la storia tratta sempre l'argomento alieno, anche se su "The Dome" non è immediatamente chiaro, mentre per il romanzo in questione viene praticamente subito definito, infatti protagonista è un'astronave aliena interrata, per la quale viene subito messa in atto un'azione di dissotterramento da parte di uno degli abitanti, che poi coinvolgerà l'intera comunità. Ecco l'altro punto in comune con "The Dome", anche qui l'influenza aliena agisce su una comunità ben definita, solo che nel caso di "The Dome" avevamo un limite invalicabile che separava questa dal resto del mondo, mentre in "The Tommyknockers" la barriera si crea gradualmente, e non è qualcosa di palpabile, ma solo un'atmosfera che diventa via via sempre più velenosa per chi non appartiene al ristretto gruppo della cittadina interessata dall'influenza dell'astronave. 
E' difficile decidere quali sono i punti su cui soffermarsi, perchè per assurdo per "The Tommyknockers" sono molti gli aspetti trattati, anche se in maniera confusa, mentre per "The Dome" il contesto alieno è solo un pretesto per parlare del rapporto tra le persone che sono rimaste intrappolate, quindi una specie di analisi psicologica del genere umano. In "The Tommyknockers" l'aspetto umano è sempre forte, sarebbe ridicolo se non fosse così dato che  le opere di King puntano sempre molto ad approfondire gli aspetti dei sentimenti umani e delle loro contraddizioni, solo che qui si fanno talmente foschi e assurdi che a volte sfugge l'idea di fondo che lo scrittore vorrebbe introdurci; sembra quasi che si abbandoni a patetiche scenette "horror" condite da profonde riflessioni interiori che però non portano da nessuna parte. 
Ho arrancato per terminare questo romanzo, posso dirlo con tutta onestà. La fatica che ho messo per leggere questo testo non è stata ripagata dalla conclusione che ho raggiunto, anche se non me ne pento del tutto perchè mi ha permesso di vedere una serie di analogie tra due opere di King che sono decisamente diverse seppure di fondo molto uguali. Mi resta la domanda che credo sorgerà a tutti i lettori attenti come me: come mai King decide di "imitare" se stesso? Perchè sviluppare un tema che fondamentalmente è già stato sviluppato in un'altra opera? E soprattutto perchè farlo in due modi così diametralmente opposti tanto che l'efficacia di uno diventa un autentico buco nell'acqua per l'altro? Ok, "The Tommyknockers" è stato sviluppato prima, e "The Dome" è stato rimaneggiato dopo, forse ha potuto creare qualcosa che fosse una specie di risarcimento per quello che non era stata l'opera precedente. 
E' difficile farne una valutazione, soprattutto alla luce della palese componente schizofrenica del romanzo. Voluta? Non voluta? Non saprei dirlo. Forse leggere questo romanzo con la sensazione di essere completamente fumati, o bevuti, era l'intento dell'autore, un modo per immedesimarsi con la "trasformazione" in opera in tutti i protagonisti, questa mutazione verso qualcosa di "malato" che degenera senza portare fondamentalmente a niente di concreto. Io sono dell'idea che l'opera sia confusa e basta, meriterebbe una sana "ristrutturazione", per non parlare di "chiarificazione", e comunque non mi sento di inserirla tra le migliori opere del maestro, anzi. Ha saputo sviluppare idee migliori negli anni, ed in modo molto più interessante, seppure prolisso. 
Voto con un 5, perchè non me la sento di dare un voto più basso; però mi sarei attestato sul 4,5 scarso. 
Lascio a voi la scelta di leggerlo oppure di scansarlo, certo se si vuole conoscere il maestro...bisogna accostarsi anche ai suoi lati più "oscuri". 

T.M.

giovedì 10 luglio 2014

L'ultimo giurato - John Grisham _ L come legge - Sue Grafton

Ho deciso di dedicare un post a due degli ultimi libri che ho iniziato a leggere, ma non ho mai portato a termine. Mi sono detto: perchè non scrivere anche di ciò che non si riesce a leggere? Spiegare quello che ci ha portato ad abbandonare un romanzo, così da dare la possibilità agli altri di ragionare anche sulle nostre prime impressioni di un testo che non siamo riusciti a terminare. 
Ammetto che è un argomento un po' scabroso per me, in quanto, per chi mi conosce, io non sono un tipo che facilmente riesce a lasciare un libro a metà, ma nemmeno un libro appena iniziato (figuriamoci quasi finito!). 
Cercherò di spiegare quali sono i motivi per cui ho abbandonato questi romanzi:

L'ultimo giurato - John Grisham
Secondo romanzo che affronto di questo autore. Il primo, "Il re dei torti", mi aveva fatto una bellissima impressione, tanto che, non essendo neppure uno dei romanzi più acclamati di Grisham, mi aveva portato ad andare alla ricerca di qualcosa di più conosciuto, ma non del tutto "osannato" (come "L'uomo della pioggia", "Il Cliente", ecc.); ho ripiegato dunque su "L'ultimo giurato", il quale mi ha da subito affascinato, in quanto la scrittura trasporta immediatamente il lettore affianco al protagonista e ti accompagna nelle sue vicende con ammaliante simpatia e un tocco di mistero. Il tutto però muore brevemente in un centinaio di pagine, o forse anche meno. Parlandoci chiaro, la scrittura resta sempre molto buona, però l'approccio diventa più pedante e la storia si fa confusa, direi estremamente confusa, tanto che ad ogni capitolo cominciavo a non capire più quel era l'argomento trattato!
Ecco il classico caso in cui ho cercato fino all'ultimo di arrivare alla fine, ma a meno di 100 pagine dalla conclusione giuro che volevo letteralmente lanciarlo dalla finestra (per non dire peggio), e mi costa un sacco dire una cosa del genere, perchè io odio, e ribadisco ODIO qualsiasi danneggiamento dei libri, di qualunque carattere siano, belli o brutti, romanzi o altro, per me i libri sono sacri. Questa reazione però nella mia vita è successa un'altra volta, e mi vergogno pure a dirlo, leggendo "Brava a letto", un esperimento che non si ripeterà mai più  (almeno lo spero). 

L come legge - Sue Grafton
Per questo romanzo spenderò poche parole, perchè di sicuro di più non ne merita. La Grafton è un'autrice che ho scoperto parecchi anni fa, quando ero ancora giovane, e che mi aveva affascinato con il suo romanzo "M come male", della serie l'alfabeto del crimine. Sospeso per molti anni il mio "rapporto" con lei però mi aspettavo di ritrovare lo stesso interesse, la stessa sottile ironia che permeavano quel primo romanzo, appena successivo a quello di cui sto trattando ora. Invece mi sono ritrovato di fronte ad un romanzo scialbo, disarticolato, se vogliamo anche molto banale nella narrazione e decisamente poco originale nella trama. A metà non ho resistito, ho dovuto abbandonarlo, perchè troppi autori che conoscevo avevano affrontato magnificamente gli stessi temi, ed anche dove la trama poteva mancare di originalità erano stati in grado di affascinarmi con la loro scrittura o anche solo con i loro personaggi; qui invece ogni singolo elemento era irritante, compresa la protagonista (come avevo fatto ad affezionarmi tanto a lei in quel romanzo letto anni fa?!?). Posso solo dire che non so se è stato il momento sbagliato per affrontarlo, oppure se è stato un passo falso dell'autrice, resta il fatto che quel libro stava diventando un boccone davvero indigeribile, è per questo che ho preferito lasciarlo nel piatto. 

Per riassumere, non intendo dire di evitare questi due romanzi, ma di prendere atto delle mie parole in merito; questo mi porta a valutarli entrambi al massimo con un 4, forse 5 per "L'ultimo giurato".

T.M.
 



lunedì 9 giugno 2014

Acque morte - W. Somerset Maugham


Suggestivo come sempre, il racconto di Maugham è questa volta un insieme di avventura, sentimento, mistero e cinismo (immancabile). Dico questa volta perchè ogni volta Maugham sa sorprendere il lettore co
n un nuovo soggetto, sempre diverso, sempre appassionante ma soprattutto sempre descritto in maniera superba. 
In "Acque morte" troviamo inoltre una struttura narrativa abbastanza diversa dalle altre opere dell'autore; estremamente interessante il modo di introdurre i personaggi, accennando a ciascuno di loro prima, così che ci si possa fare un'idea di chi sono, e descrivendoli dettagliatamente poi, magari nei capitoli successivi, capovolgendo completamente l'immagine che ci siamo fatti di loro. E' come scoprirli volta per volta, dettaglio per dettaglio, vedendoceli illuminati dalla flebile luce di un cerino, per poi lasciarci sbalorditi quando improvvisamente li colpisce la luce accecante del sole. 
Il protagonista poi è come pochi, un esemplare di "rara bellezza"; nella sua delicata noncuranza osserva tutto e viene osservato, ma non agisce in alcun modo per modificare gli eventi. E' una sorta di specchio dello spettatore che ci rappresenta e che ci accompagna ad osservare tutto ciò che accade, di tanto in tanto facendoci scivolare nella sua molle compostezza, che nonostante tutto non ci disgusta, seppur dovrebbe. 
C'è poco da dire di questo romanzo, se non che va assolutamente letto, perchè è un romanzo che come pochi mette in scena l'assurdità della natura umana e le inaspettate conseguenze che può portare un viaggio fuori programma.
Voto con un 9,5. Non è il massimo, ma solo perchè amo soggetti diversi. Per la scrittura merita un 10 pieno. 

T.M.

domenica 8 giugno 2014

Le età di Lulù - Almudena Grandes

Abbastanza difficile esprimere l'impressione che mi ha dato leggere questo romanzo. Iniziato con grandi aspettative, soprattutto notando immediatamente una scrittura fluida, quasi perfetta, coinvolgente e ritmata, proprio come una musica di fondo che accompagna tutto il romanzo; poi però sono incappato in un paio di momenti in cui il tutto sembrava vacillare verso l'assurdo, lo schema sembrava essersi rotto e la trama pareva assumere i tratti di un puzzle insensato creato solo per mettere insieme un'immagine di lussuria sorretta da una buona scrittura. Devo ammettere però che con il terzo atto del libro sono arrivato a capire la meccanica del tutto, e mi sono fatto piacevolmente travolgere dalle ultime ottanta pagine, dove finalmente si ritorna a prendere confidenza con i personaggi, che si erano persi in mezzo alla strada, un po' come capita davvero nelle loro vicende. 
Complessivamente posso dire che è un romanzo aggraziato, equilibrato, che va preso forse a piccole dosi e non con una lettura impetuosa come io invece l'ho affrontato, con la smania di capire la logica dell'intreccio e dei continui salti temporali. Bisogna farsi guidare delicatamente dalla sua trama, scoprendola un po' per volta, assimilandola, senza sforzarsi di capirla, e apprezzando la fine, nella sua semplicità, come un "puro" esempio d'amore, un sentimento che va oltre i confini, qualunque confine, e ti travolge lasciandoti intontito, a volte per giorni, a volte per anni, e a volte per sempre, facendoti dubitare di chi sei, ma facendoti sempre ritrovare negli occhi dell'altro. 
Non fatevi sconvolgere dal tema trattato, non spaventatevi dalle parole utilizzate, questo libro va oltre la volgarità, perchè infatti dimostra la naturalezza degli istinti umani, e li racconta con la loro forma sinuosa, accattivante, scandalosa e a volte violenta, ma li racconta per mostrare l'altra faccia dell'amore, quello che a volte lega inconsapevolmente due persone. 
Voto con un bel 8.5, ma ammetto che meriterebbe una seconda lettura.

T.M.

lunedì 2 giugno 2014

Lampi - Dean R. Koontz

Eccomi alle prese con una lettura che ho lungamente atteso. Sembra assurdo da dire ma questo è uno di quei libri che da ragazzo ho visto in libreria, ho sempre desiderato leggere, ma non ho mai acquistato. Ora finalmente sono riuscito a decidermi di prenderlo e leggerlo tutto d'un fiato. 
Premesso che non è la prima lettura di Koontz ma di sicuro la prima dopo tanti tanti anni; l'ultimo romanzo che ho letto di questo autore risalirà infatti a più di 15 anni fa, ma devo dire che la mia opinione su di lui non è molto cambiata, ossia che sa come intrattenere il suo pubblico. C'è una piccola osservazione da fare però, in questo caso ha scelto un tema un po' complesso, quello del viaggio nel tempo, che non ha saputo gestire sufficientemente bene secondo me; rimangono infatti molte domande senza risposta, e soprattutto verso la fine (questo per quanto riguarda la mia lettura, poi ovviamente ognuno ha un approccio diverso) mi sarei aspettato un capovolgimento, un cambiamento più incisivo degli eventi, soprattutto in merito alla missione intrapresa dal protagonista, cosa che invece non avviene. Non è semplice da spiegare senza svelare particolari essenziali della storia, quindi mi limiterò a dire che mi aspettavo un passaggio più intelligente, qualcosa che permettesse di comprendere meglio il significato di tutti gli eventi che si sono succeduti nei vari anni a tutti i protagonisti, qualcosa che valesse veramente la pena dopo tante peripezie per sopravvivere.
Diciamo che ci sono le premesse per un buon romanzo, che invece alla fin fine risulta solo mediocre, in quanto i personaggi, così forti e ben delineati, perdono di colpo tutta la loro potenza, e le vicende, così ben scandite, anche da buoni colpi di scena, finiscono per diventare scialbe e prive di un vero interesse, quasi banali e arrurde. Le ultime 50 pagine in poche parole mi hanno deluso, non per la scelta del finale quanto per la mancanza di una vera e propria struttura di fondo. 
A malincuore devo votare con un 6 scarso, nonostante il libro tenga incollato il lettore alle pagine (quasi fino all'ultimo). Deludente, forse c'era troppa carne al fuoco o forse c'era una scarsa ambizione. 

T.M.

lunedì 19 maggio 2014

Vacanze in villa - Madeleine Wickham

Ecco un libro che mi sento assolutamente di difendere dalle numerose recensioni negative che avevo letto. Ho preso in mano questo romanzo con il timore di avere una grande delusione, soprattutto dopo aver letto i numerosi commenti negativi fatti da lettori che molto probabilmente amano la "nuova" Kinsella rispetto alla "riscoperta" Madeleine Wickham che fa da sfondo alla brillante scrittrice venuta alla ribalta con "I love shopping". 
Il romanzo infatti è stato un vero e proprio mix di inventiva narrativa, buona scrittura e sottile divertimento. Certo bisogna ammetterlo, in alcuni punti ha un tantino calcato la mano, e per questo si notano gli scivoloni su argomenti a sfondo sessuale un tantino esagerati e fuori luogo; a parte questi piccoli inserti, decisamente trascurabili (e probabilmente anche eliminabili) il romanzo procede piacevolmente e la storia, con i suoi piccoli colpi di scena, è godibile. C'è un sentore di "non finito" arrivati all'ultima pagina, una sensazione dovuta probabilmente al fatto che nella storia sono stati inseriti numerosi elementi per ciascun personaggio, ma pochi sono stati veramente approfonditi. 
Sono d'accordo sul fatto che non sia un capolavoro (mi stupirei se proclamassi il contrario) ma bisogna dar merito alla "vecchia Kinsella" che ha costruito un romanzo niente male, che pur non avendole dato successo le ha permesso di crescere come scrittrice portando alla luce un racconto che di fondo ha molta più sostanza di quella che potremmo trovare in qualunque altra scrittrice (mediocre) che tenta di lanciarsi nel mondo della scrittura negli ultimi anni. 
Voto con un bel 7, decisamente meritato. 

T.M.

martedì 6 maggio 2014

Al di qua del paradiso - Francis Scott Fitzgerald

Non mi sento realmente degno di recensire un libro di Fitzgerald, soprattutto dopo l'enorme sforzo che ho dovuto fare per leggerlo. Ritengo che questa mia difficoltà derivi principalmente dal fatto che non ero pronto a leggere questo testo, e di conseguenza avrei fatto molto meglio ad arrestarmi in tempo. Come mi succede la maggior parte delle volte però mi sento portato a concludere una lettura, in quanto mi sembra sempre di fare un torto all'autore. In questo caso ho fatto un torto a me stesso, in quanto questo libro mi ha solo procurato un'emicrania allucinante. 
Cercherò di descrivere il più oggettivamente possibile l'impressione che questo romanzo ha avuto su di me: ho trovato il racconto come una serie sconclusionata di fatti, uniti solo dall'epoca che hanno in comune, dove un personaggio, probabilmente nemmeno così tanto protagonista, salta a destra e a sinistra inconsapevole di ciò che vuole. Ho avuto di fondo la sensazione che qualcosa mi richiamasse all'atmosfera che mi aveva trasmesso la lettura di "Delitto e castigo" di Dostoevskij, anche se spero vivamente di non dovermi mai pentire di questa mia analogia; sostanzialmente è un senso di claustrofobia, ovviamente diversa da quella del romanzo russo, eppure si respirava questa sua sensazione di inadeguatezza, cosa in evidente contrasto con tutto ciò che invece l'epoca e le situazioni descritte da Fitzgerald vorrebbero esprimere. Forse il nodo sta proprio in questo, l'assurdità di un'epoca in cui la gran parte delle persone sono talmente sicure di loro stesse che invece arrivano a perdere completamente il controllo su loro stessi, e soprattutto sugli altri, anche se credono di averli in pugno per il solo fatto di volerlo. 
Mi fermo qui, perchè non credo che sarei realmente in grado di proseguire, posso solo dire che è stata una lettura estenuante, che mi sembrava non dovermi portare da nessuna parte (cosa che in effetti è successa), e che probabilmente dovrò riaffrontare in seguito, con maggiore lucidità.
Per ora posso votare con un 6, ma è un voto che non mi sento di sottoscrivere appieno, forse perchè il romanzo aveva in serbo molto di più di quanto io sono riuscito a cogliere. 

T.M.

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