
T.M.
Il campo di confronto per nuove idee, dove i sogni si scontrano con la realtà e fanno crescere la speranza.


ntrollo delle forme che organizzi gli spazi ad ogni scala basandosi su calcoli precisi, permettendo poi all’architetto di unirci lo spirito artistico che faccia del progetto un’opera e non solo uno strumento dei bisogni. Intendendo la razionalità secondo quest’ultimo obiettivo, ci si riferisce ad un processo che si costruisce sulla base di dati e di passaggi logici, di soluzioni ottimali rispetto al problema, e l’architetto è chiamato forse ad operare più in questo senso che non puramente alla ricerca di un linguaggio stilistico caratterizzato dall’assenza di ornato dalle superfici lisce ed unitarie che possa rappresentare al meglio funzione e periodo. E la razionalità era chiamata a rappresentare proprio questo, lo stile di un periodo, nello specifico quello italiano tra le due guerre, nel quale era messa in primo piano la necessità di nuova edilizia ed allo stesso tempo la rappresentazione del governo nascente, quello fascist
a. È probabilmente la combinazione di idealismo politico e valore militare che richiede un ritorno al Classicismo; ma come si vede nell’800 il Classicismo può essere strutturale (Henri Labrouste. Bibliothéque Sainte-Geneviève. Paris, 1838-50) oppure romantico (Schinkel), quando l’architetto decide di compiere una scelta tra funzione e senso estetico, tra struttura e forma, cosa che secondo Giovannoni era un grosso errore che poteva compiere un architetto non integrale. Questa scelta si ripropone appunto in un periodo come quello tra le due guerre, bisognoso di essere rappresentato ed esaltato. Perdere di vista dunque un obiettivo per prediligerne un altro, fare del ruolo dell’architetto quello del portatore di un nuovo spirito legato alle nuove esigenze, costituisce una spinta forte tale da strapparlo alle radici della storia della sua Arte. Però non tutti hanno operato secondo questa logica, personaggi come Wright hanno considerato l’espansione della città un fatto abominevole, un sacrificio al paesaggio. Ed è questo che deve forse fare l’architetto, ovvero commisurare il rapporto tra il luogo e l’edificio, operando sì dall’interno all’esterno, dalle esigenze reali alle espressioni d’Arte, come osserva Giovannoni, mantenendo però un carattere organico che non faccia di queste produzioni delle nuove macchine industriali in cui vivere. È importante dunque sottolineare che dal momento che l’arte architettonica diventa una formula artificiosa richiede quindi un insegnamento, ecco perchè Giovannoni nei suoi scritti insiste molto sull’importanza della cultura trasmessa agli architetti del ‘900. Questo non era necessario quando lo stile si trasmetteva ed evolveva naturalmente, ma nel XX secolo possiamo individuare rari casi, come ad esempio nella formazione di Wright, in cui la preparazione artistica, la conoscenza tecnica e quella storica dell’arte germogliano progressivamente grazie a stimolazioni che lo accompagnano sin dai primi anni di vita, quando la madre lo i
ncoraggiava alla composizione con blocchetti modulari, cosa che secondo Giovannoni era fondamentale in quanto «…la preparazione artistica deve avere l’assoluta predominanza…un giovane può formare il proprio gusto ed acquistare un equilibrato senso delle proporzioni…quanto prima egli potrà appunto essere iniziato ad esercizi pratici ed elementari di composizione... ». Crescendo, Wright riesce a prendere la giusta distanza dalla tradizione, ne ingloba le componenti e sfrutta ogni elemento per valorizzarne la propria forza, crea dunque espressioni nuove con linee ed elementi conosciuti, un sapiente sguardo alla tradizione senza fermarsi su di essa ma compiendo una sapiente evoluzione dello stile. Osservando però il modo di operare di altri architetti ci si accorge come lo stesso Gropius sembra vivere sotto la duplice spinta di tradizione e funzionalismo, di arte e tecnica, cosa che ci può rendere perplessi di fronte alla sua produzione; egli è interessato a rivalutare le arti minori, creando anche una scuola come il Bauhaus, ma allo stesso tempo nega fortemente il legame tra architettura e arte come si sviluppa nella produzione di Le Corbusier. È dunque naturale presumere che egli faccia del rapporto con l’arte una conoscenza intrinseca che non riguarda le forme, mentre allo stesso tempo Le Corbusier insiste sulla parte Pdeuso-scientifica delle nuove figure, ricerca una legge di geometria elementare che coesista con il suo concetto di machine à habiter, esaltato quale fondamentale obbiettivo per assicurare alla gente una comunione tra vita domestica e vita lavorativa, un programma di regolamentarizzazione e di omologazione di funzioni sociali e di sensibilità individuali: l'abitare come agente di equilibrio sociale dentro e fuori il nucleo della famiglia.
contro l’omogeneizzazione. I nuovi luoghi che vengono a formarsi sorgono dalle esigenze delle persone di azzerare il loro senso di spaesamento, in un periodo in cui la gente si muove freneticamente da un luogo ad un altro l’esigenza principale è quella di sentirsi a casa, ed ecco che i luoghi assumono sempre più una valenza importante per l’individuo che li attraversa. Vige una sorta di “impero del presente” il cui fine è quello di tranquillizzarci, proponendoci la visione di un mondo costantemente sotto controllo. Come nella ripresa del classico, quindi, si rimane oggi ancorati a delle regole fisse, quelle della globalizzazione che, a differenza di uno stile, in cui i principi caratterizzano la formulazione di idee innovative, ma risultano funzionali perché strutturalmente corrette, queste nuove regole limitano la creatività ad una produzione praticamente seriale di luoghi che svolgono la funzione “nascosta” di far sentire le persone a “casa”. La logica rimane la stessa, l’architetto sente di dover compiere una scelta, e a volte lo fa in modo involontario spinto dall’impulso che prevale nel mondo, spinto dalle necessità impellenti, e se l’architetto non è così forte, o così preparato come Giovannoni lo indica professionalmente, cioè un architetto integrale che faccia della sua produzione un’opera completa, se in poche parole non riesce leggere dentro di se le matrici della storia come guida prima, l’impulso lo getterà a creare delle macchine, oppure delle opere d’arte fini a se stesse. La globalizzazione annienta l’identità dei luoghi, e l’architetto è chiamato ad arrestare questo processo, a generare luoghi confortevoli perché organizzati per rispondere ad esigenze concrete, ma rivestiti di bellezza che si fonda su regole comuni, “classiche”.