mercoledì 24 agosto 2011

Il seme dell'inganno

E' come sentirsi imprigionati in una scatola, dove ogni singolo movimento è sempre più costretto, ti senti sempre più bloccato, sempre più soffocato. Ad ogni movimento incontri un muro, e ci sbatti, ancora e ancora; sembra un gioco alla cieca, accecati da una luce dalla quale non si riesce a distogliere lo sguardo. Come falene ci si accanisce, con l'unica prospettiva di morire, eppure sembra il solo spiraglio di speranza, la sola luce di vita. Intanto i nostri piedi si fanno pesanti, e oltre a non procedere si affonda, risucchiati in una spirale di angosce, mentre mille voci gridano ciò di cui hanno bisogno, ti martellano la testa con i loro striduli desideri, e tu resti accecato dalle loro saettanti parole e non sai più in che direzione guardare, poggiando il mento al petto e cercando i tuoi piedi, ormai invisibili. Volgi lo sguardo al cielo, quel cielo che ha ormai cambiato aspetto tante volte che stenti a riconoscerlo, e preghi per avere una risposta ad una domanda alla quale solo tu puoi rispondere. Allora osservi tutto cio che l'attraversa, uccelli, aerei, carichi di persone dirette verso una nuova speranza, o forse un vecchio ricordo, ma comunque alte in cielo, lontane da tutto ciò che le può far affondare in quella terra marcia che ti sta divorando. Fino al momento in cui non senti più niente, ogni tuo dolore è sparito, e così ogni suono, ogni ricordo, ogni prospettiva; un torrido silenzio si è impossessato di te, e con esso uno strano senso di pace. Perchè lottare? Il tuo destino è scritto, ed il luogo in cui ti trovi è stato creato per te, un piccolo seme che aspetta di germogliare, terrorizzato dalla vista del buio, trepidante nell'attesa di vedere la luce, una promessa che di sicuro arriverà. Quando le tue braccia si ergeranno alte verso il cielo e la luce colpirà ancora la tua pelle, e gli occhi potranno ancora vedere, e si alzeranno oltre il cielo, scoprendo l'angoscia divina che ti ha spinto al limite, quelle delicate mani che hanno riaperto i tuoi caldi occhi dal sonno della disperazione, dall'ansia di scoprire, di scoprirti, per dimostrarti che sei qui. Ora.

T.M.

venerdì 15 aprile 2011

Il seme della speranza

Osservando le tue mani diresti che sono troppo piccole per contenere tutto quello che vorresti afferrare dalla vita, eppure la tua testa è in grado di contenere i mille sogni che l'attraversano in ogni istante, lasciando spazio ancora per tutto quello che ti travolge giorno dopo giorno.
Spesso non si riesce a vedere una via d'uscita alla complicata, ma soprattutto stupida, macchinosità di questa vita; ci domandiamo se le persone accanto a noi percepiscono la necessità di lanciarsi a braccia aperte contro le meraviglie che scopriamo ogni giorno, se osservando una stella cercano di immaginare l'infinito, e se anche loro ogni tanto si sentono piccoli di fronte a tutto questo, pur sapendo che nell'infinitesima parte del tutto che occupa la nostra esistenza possiamo comunque essere un indispensabile ingranaggio che permette ancora che tutto funzioni.
Oppure se i sogni degli altri sono irrimediabilmente corrotti dal desiderio di vedersi al centro di tutto, inglobando anche la tua infima esistenza nel loro regno del potere, costruendo pericolanti castelli di carta destinati a ferire inevitabilmente le nostre esistenze, perchè nella loro seppur breve vita sono in grado di schiacciare la debole terra delle nostre speranze, rendendola sterile alle più tenaci buone intenzioni.
Se osserviamo le nostre mani non sono più tanto piccole, perchè possono afferrare ciò di cui abbiamo bisogno, e possono ancora stringere in un abbraccio coloro che sono davvero importanti, e forse questo rappresenta tutto il nostro mondo, quello che ci basta per vivere, anzi, l'unica cosa in grado di farci vivere perchè è ancora capace di piantare il seme dell'amore nel nostro cuore e farne crescere la speranza che non siamo soli.

T.M.

sabato 26 marzo 2011

7 minuti di ordinaria follia

Solo, davanti allo specchio, Senza sapere cosa vedo. Vibrano le immagini di un'anima inquieta che riflette tutte le sue insicurezze. Gli occhi si fissano su qualcosa. Un dettaglio. Una sfumatura. Un segno che nasconde la verità. Scorgo l'ombra di un sorriso, che purtroppo non proviene dal mio viso.
Gesti concitati, fugaci sguardi, maliziosi ammiccamenti. Osservo preoccupato qualcosa che non posso fermare, una forza che spinge tutto verso l'oscuro oblio della solitudine. E non mi riconosco più. Chi è quell'immagine riflessa, quella strana figura, tanto felice, tanto radiosa, e così distante?
Il ritmo del cuore rallenta. C'è silenzio finalmente, un silenzio che non si sente da molto tempo. Troppo. Sparita ogni ombra, ogni incertezza, quello strano riflesso sa esattamente dov'è, e vorrei mi portasse con lui. Ma lo sguardo si fa già preoccupato. Pietoso. Mi osserva con un'aria di consapevolezza che non mi appartiene, e già lo vedo allontanarsi.
Un attimo. Un semplice attimo. Eppure un eternità in cui ho vissuto la mia vita, quella vera, che non riesco a fare mia. Cancello fugacemente ogni ricordo di quel momento lontano in cui ho intravisto la mia ombra e cerco di occultare ogni prova della mia felicità.
L'eternità di un momento mi ha sottratto la debole sicurezza di una vita, ma ogni ombra è scomparsa, il mio riflesso mi guarda imperterrito senza abbandonarmi un attimo, e nel folle tentativo di ritrovarmi mi perdo.
Ormai lontano, il riverbero dei miei sogni mi ha abbandonato e da solo affronto lo sguardo impietoso di una vita che mi giudica. Con i miei stessi occhi.

T.M.

venerdì 7 gennaio 2011

L'ombra del dubbio

Non c'è dubbio che questo sia l'ennesimo capolavoro di Hitchcock. Lui stesso lo definisce il suo film preferito, anche se io al riguardo direi che il regista ne ha fatti di molto più accurati. C'è da dire però che l'idea di fondo è davvero azzeccata, perchè se l'intendo di Hitchcock è sempre stato quello di portare l'impossibile nel quotidiano, in quanto assolutamente POSSIBILE, questo lo dimostra più di ogni altro film.
La serenità di una tranquilla famiglia dove all'interno della stessa si aggira lo spettro del dubbio, della possibilità che niente sia come sembra, che chiunque può essere ciò che non immagineremmo mai, e magari qualcuno di cui non sospetteremmo minimamente. Detta così sembra l'assurda storia di un assassino "familiare", ma è proprio l'Ombra di questo dubbio che serpeggia all'interno della casa che rende tutto tremendamente critico, tremendamente instabile e soprattutto terribile.
Un film assolutamente consigliato a cui darei sicuramente un 8.5 .

T.M.

Sabbie mobili

Quando ti muovi a stento nelle stanze della tua vita, ad ogni passo ti guardi attorno per paura d'inciampare in vecchi ricordi; quando cammini e il freddo risale dai tuoi piedi nudi e ti fa rabbrividire il pensiero di variare il sentiero che hai intrapreso. E' come camminare nella nebbia, avvolti da un sottile strato di incertezza, l'unica in grado di darti un brivido di curiosità, l'unica in grado di congelarti il cuore quando ti trovi in un vicolo cieco, accerchiato dai dubbi e dal terrore di sbagliare.
Non riconosci più il limite della tranquilla certezza e quello dell'angosciosa routine che può divorarti; e poi ti rendi conto che è lo stesso, e ci stai costantemente dentro, inerme, come immerso nelle sabbie mobili, e non sai più cosa devi fare, se muoverti oppure aspettare, immobile, che qualcuno ti salvi.
I tuoi occhi si riempiono di lacrime, ma nessuno è in grado di vederli, perchè mentre sprofondi cogli un'assurda certezza, che non hai mai smesso di muoverti, di affannarti per liberarti da tutto questo, eppure ogni tentativo è stato vano, e mentre cercavi di tendere la mano sei stato risucchiato, sempre di più, da un vortice indifferente che ti ha impedito di gridare riempiendoti la bocca di ignobili silenzi.
Mentre i tuoi occhi annaspano nel buio in cerca di un appiglio ti rendi conto che la terra è ancora sotto ai tuoi piedi, ed è tutto il resto che ti avvolge, ti avvinghia, nell'ineluttabile vuoto che ha reso una folla cieca di sentimenti.

T.M.

venerdì 24 dicembre 2010

Oscuri riflessi

Quando ci si sente presi in giro dal mondo intero, e si vorrebbe soltanto rifugiarsi nell'angolo più remoto della terra, dove nessuno resti a fissarti, da soli con le proprie paure e le proprie incertezze, è in questi momenti che scopro di essere davvero da solo. E allora a cosa serve rincorrere le persone, cercare di attirarle a se, soddisfare ogni loro desiderio, anche senza la speranza di ricevere qualcosa in cambio, ma coltivando nel cuore la fiducia di essere delle buone persone, e che gli altri saranno altrettanto buoni con noi? Non c'è bontà al mondo per chi dona il cuore intero, in cambio si ricevono solo i resti di uno sguardo distratto, un cenno sbadato, una parola biascicata di cui riconosciamo a malapena il significato, di discutibile verità.
Immagino di allontanarmi dal mondo, di lasciare ogni cosa al caso, di non nutrire più sentimenti, nè speranze, e mi osservo avvizzire, mentre tutto attorno continua a vivere, rigoglioso, allunga le sue radici e conquista nuovi territori, mentre io nel mio misero angolino a malapena cerco di conquistare il silenzio di un attimo, un impercettibile sensazione di vuoto che mi permetta di sentire ancora il battito del mio cuore, che mi faccia sentire che sono vivo, perchè ogni specchio intorno a me non riflette che il nulla, il contorno di una figura invisibile, eppure così presente... richiamato alla realtà dal mio nome gridato a gran voce mi accorgo di non aver mai abbandonato questo mondo. Se osservo la figura riflessa però ha una leggera incrinatura, che si allarga, e pian piano arriverà a nascondere del tutto quel volto già a stento riconoscibile. Vorrei infrangere quello specchio che mi parla di tutto ciò che non posso essere, che mi grida ciò che devo essere, e ad un tratto mi ritrovo ad afferrare la fragile cornice di queste angosce, la sollevo in alto sulla mia testa, e mi immergo completamente nell'oblio di quelle sensazioni, cosciente che il riflesso non potrà mai essere più chiaro di così.

T.M.

venerdì 3 dicembre 2010

Sussurri del cuore

Ci sono momenti in cui il cuore sembra sussurrarti delle parole, cerca di dirti qualcosa, eppure il significato ti sfugge, lasciandoti con la frustrante sensazione di aver perso qualcosa d'importante, un momento che non tornerà più, un'occasione che bisognava cogliere al volo, ma la sordità dei tuoi sensi ti ha negato di conoscerla.
A volte scorgi questa debole verità tra il sonno ed il risveglio, quando ti sembra di poter catturare ogni istante dei tuoi desideri per poterli vedere realizzati, eppure un attimo dopo tutto scompare nell'oblio, e invano tenti di riportare alla mente quei frammenti perduti, quelle deboli emozioni che ancora ti fanno battere il cuore.

Le giornate si susseguono, l'una identica all'altra, eppure senti dentro di te che c'è di più, che il tuo cuore trabocca di aspettativa e i tuoi occhi scrutano avidi i colori che li circondano, costretti a soffermarsi solo sul triste grigio delle quattro mura che ti circondano.
Ti capita di osservare la montagna di libri che affolla un triste angolo della tua stanza, e ti domandi quale storia si nasconde dietro, e vorresti lanciartisi dentro, scoprirla, esplorarla, viverla, ognuna di esse, pur di non restare nel tetro angolo opposto, pieno di speranze infrante che feriscono inesorabilmente i tuoi piedi stanchi. Soltanto una tenera musica addolcisce quei momenti, rasserena i tuoi occhi, che stancamente si adagiano in un sonno privo di sogni; ogni muscolo si rilassa e riceve la misera quiete che la notte gli dona, ed il corpo finalmente assapora la leggerezza che aspettava da tempo, quel battito d'ali che gli fa spiccare il volo lontano, verso... un risveglio, fatto di tormenti, dove ogni speranza cede il posto alla certezza che il nuovo giorno si fa avanti, con i suoi piedi di piombo, e dove il cielo si può solo osservare dal basso, nei suoi grigi colori, che nascondono alla nostra vista l'infinita luce dietro di loro, che forse un giorno lontano squarcerà il sipario della nostra ipocrita esistenza.

T.M.


venerdì 19 novembre 2010

Incompleto

Vivi le tue giornate, costantemente diviso, costantemente sospeso. Osservi il mondo con una certa tensione che senti vibrare nelle dita, e vorresti afferrare qualsiasi cosa, e a volte lo fai, ma la sensazione resta.
Cammini con la mente vuota, scoraggiato, imprecando contro tutto quello che appare irrisolto, contro tutte quelle persone che sembrano svuotare di senso ogni tuo gesto, tutta quella parte della tua vita che vorresti aver vissuto appiento, ma che ti sembra di aver sprecato, e non puoi più rimediare.
Incompleto è quel pensiero che ti fa prendere a pugni il cuscino, senza un motivo, solo per sfogarti. Incompleto, di senso, di forma. Incompleto il tuo cuore che sanguina ogni volta che si apre al mondo, eppure non riesce a non farlo, e viene lentamente corroso dall'indifferenza.
Incomplete le ombre che si formano al passaggio dei tuoi desideri, alla luce di una candela che brucia ogni tua speranza, e ti vedi, chino su quel tavolo, a pensare a quei vuoti di senso che accompagnano ogni tuo risveglio.
Ma è ora di sollevare la testa, volgere il viso al cielo e lasciarsi inondare di coraggio; raccogliere quei pezzi che restano, figure incomplete di pensieri, di sogni iniziati e mai portati a termine, brandelli di vita che hai trascinato con te, logori e stanchi. Guardare negli occhi le persone e offrirgli una nuova parte di te, e sperare solo di ricevere in cambio ciò che ancora non conosci, e che forse neppure loro sanno ancora di possedere.

T.M.

giovedì 11 novembre 2010

Una lacrima

Quando una lacrima comincia a scendere è come se tutto dentro di te esplodesse, e attraverso quella lacrima allontani il mondo intero, tutto il tuo dolore, tutta la disperazione che affolla la tua mente.
Scende, percorre il tuo viso, e più si allontana più il cuore si gonfia, si riempie di serenità, ti risollevi, come in un lancio nel vuoto lasci tutto alle spalle e ti getti nell'assoluta incertezza delle emozioni.
Attraverso quella lacrima non vedi più come prima ciò che ti circonda, il suono ovattato delle cose ti giunge nuovo, lontano, strano e incerto, e senti solo il grido soffocato che vibra dentro di te, ma che non può uscire, che scuote le sbarre della tua anima facendo vibrare ogni parte del tuo corpo, eppure resta lì, inerme, vittima del tuo stesso dolore che continua a scorrerti nelle vene, e non trova via d'uscita.
Una debole macchia, si allarga, lentamente si asciuga, racchiude tante emozioni, eppure nessuna. Puoi fissarla, ma non riesci a comprendere come una cosa tanto insignificante abbia riscosso così tanti sensi in te, da lasciarti tramortito, e non capire quanto bene o quanto male sia rimasto nel tuo cuore, ma lasciandoti una sola certezza, di qualcosa in meno dentro di te.

T.M.

giovedì 4 novembre 2010

Racconto BluSuBianco: STUPIDI SOGNI


Incipit 7:

RINASCERE

Stamattina si è svegliata presto.
Un misto di ansia e gioia ha mosso tutti i suoi gesti: ha fatto il caffè
e per sbaglio ha versato un po’ di zucchero nel lavandino.
Non le è importato.
Il giornale era ancora sul tavolo e quando si è girata per prenderlo ha alzato gli occhi sulla finestra e ha visto la neve.
Si è avvicinata al vetro: una pioggia gelata, bianca, cadeva nel cortile a fiocchi spessi.
Non è riuscita a smettere di guardare.
Qualcosa ha cominciato a sciogliersi dentro di lei e a scorrerle lungo le braccia, le gambe.
Un po’ alla volta tutto è diventato nuovo, anche lei.
E non è che non abbia sentito il frastuono che viene dall’altra stanza.
Solo, non vuole muoversi, andare di là.
Si sente rinata ed è contenta di averlo fatto.

STUPIDI SOGNI

Non credeva che ne sarebbe stata capace. Oggi, al risveglio fissava la flebile luce che filtrava dalle tapparelle; il sottile pulviscolo che ballava attorno ai deboli raggi di sole, non era ancora in grado di capire se fosse una giornata più o meno serena, eppure dentro di sé sentiva già un moto diverso, qualcosa che di sicuro era nuovo per lei, qualcosa che non sentiva dentro da anni.

Pian piano la luce andava attenuandosi, forse uno scherzo del risveglio, quando i tuoi occhi stentano ancora ad aprirsi del tutto; ma i suoi erano ben aperti, e una domanda cresceva già nel suo cuore: . Associava troppo spesso il suo stato d’animo a piccoli, insignificanti “segni” che sembravano un monito dal mondo esterno; ma ora basta, non poteva più porsi domande, era il momento di alzarsi, era il momento di andare.

I suoi passi si muovevano ancora un poco incerti verso la cucina da cui arrivava una luce un po’ più chiara, una luce incoraggiante, seppur fosca e grigia. Le tapparelle erano rimaste alzate dalla sera prima, quando aveva osservato le stelle per un tempo interminabile prima di andare a dormire. Per un attimo aveva creduto di poterle contare, una a una, pur di non pensare all’idea che le si era formata in testa, a quella convinzione che le aveva mosso le parole in bocca con le quali aveva provocato la bufera del giorno prima. Così contava le stelle, per perdersi in quell’infinito abbraccio che le dava ancora un po’ di speranza. Come quando in riva al mare guardava l’interminabile distesa d’acqua e affidava a quella i suoi pensieri, sperando che se li sarebbe portati via lasciandola finalmente libera, serena; ma non è così che funzionano le cose, non è scacciando i propri scomodi desideri che si raggiunge la serenità, casomai assecondandoli, mettendoli davanti ai propri occhi e convincendosi che sono parte di noi, quello che non ha mai saputo fare per tanti anni della sua vita.

Per un attimo si ridesta dai propri pensieri e si ritrova davanti al lavello a fissare il vuoto. Un cucchiaino in mano, un po’ di zucchero versato. Com’era arrivata lì? Vagava troppo spesso nella sua fantasia, alla ricerca del momento perfetto, ma quello non esisteva, ritornò quindi a preparare la colazione, pur non sapendo nemmeno cosa la spingesse ancora a farlo.

Dall’altra stanza un debole fruscio, quasi lo scroscio attutito dell’acqua sugli scogli. Poi più niente. Forse se l’era immaginato. Come si immaginava tante cose, vivere felice, una casa, qualcuno di tenero e comprensivo che non aspetti altro che di farla sentire bene. Ad un tratto un sorriso comincia ad allargarsi sul suo viso; tutto questo era possibile, non era una delle sue stupide fantasie, ora lo capisce bene; quella persona esiste, una persona in grado di ridare quella particolare luce ai suoi occhi, quella luce che non vedeva brillare da così tanto tempo.

Solo un attimo, poi tutto svanisce, la luce si affievolisce intorno a lei, e di fuori sembrano quasi calare le tenebre. Un altro stupido sogno, e quel giornale posato sulla tavola a ricordarglielo: . Come poteva essere stata tanto stupida?

Un altro debole fruscio. Un altro ancora. Come il mare, si porta via i suoi pensieri, le sue parole, le grida che colpiscono violentemente l’orecchio che vuole smettere di sentire, cercare quell’improvvisa sordità che può darle finalmente pace, e raggiungerla, in un attimo. I suoi occhi sbarrati ripercorrono la sera prima e il suo cuore si ritrova improvvisamente in tumulto, in un battito incessante e assordante che le martella nelle orecchie. E poi, un fugace battito di ciglia, si ridesta, blocca il fastidioso borbottio del caffè sul fuoco che ormai schizza ovunque, mentre un debole sorriso riaffiora. Che stupida.

Si volta per versare il caffè, nelle tazzine, quel caffè che le trasmette tutta l’amarezza dentro il suo cuore, in un buco nero come quello che si è formato nella sua anima con un semplice monosillabo: .

Alzando però gli occhi per cercare di ridare a se stessa un po’ di contegno, si blocca. La caffettiera finisce a terra con un rumore assordante, ma lei sembra non sentirlo. I suoi occhi fissano il riquadro della finestra, e un’improvvisa luce l’abbaglia, ma non è quella luce, non è la solita luce, ha uno strano chiarore, quasi rasserenante seppure abbagliante, tanto che la costringe a schermarsi un po’ gli occhi per vedere meglio.

Un fruscio. Si trasforma in un tonfo sordo. Non esiste, esiste solo il suo sguardo ammaliato dai teneri fiocchi di neve che scendono fuori dalla finestra. Come gocce di luce trafiggono il suo cuore e lo inondano improvvisamente di una strana serenità. Una luce ritrovata, chiara, nuova, una luce che avvolge tutto, pura, incontaminata.

Un rumore ovattato (dei passi?) le giunge all’orecchio, ma i suoi occhi sono catturati da quel sogno, da quell’immagine di speranza, di rinascita che le cresce improvvisamente dentro; e poi, due calde braccia l’avvolgono, ed è come la neve che si scioglie dentro di lei, gli occhi lentamente si chiudono, e non è più un sogno, le parole che le giungono all’orecchio sono come acqua cristallina per lei:

In un attimo si cancella tutto, la telefonata di Carlo, le urla, le stelle, il mare infinito e quel vuoto dentro di lei. Si scioglie in un tenero bacio che riesce a donarle tutto il calore che ha cercato da tutta una vita.


T.M.


Pensieri distratti

Se ti concentri lo puoi sentire, dentro di te, qualcosa che si muove.
E' un pensiero, che striscia lentamente, confuso, barcollante, distratto. Eppure pian piano si impossessa di te, ti entra nel cuore e lo avvolge. Ti senti soffocare, prima ancora di capire cos'è.
Eppure lo ami, lo ami terribilmente, come un figlio.
Si alimenta, cresce e lo senti più forte, vivo. Pian piano ne intravvedi i contorni, ancora indefiniti, ma più luminosi, sempre più sgargianti.

Ti avvolge l'inquietudine e vorresti scacciarlo da te, sperare che non ti appartenga; allontanarlo brutalmente sperando che non faccia ritorno, mentre fissi la tua immagine di rabbia proiettata in ogni superficie. E' palpabile, la odi, eppure non puoi non amarla.
Questo pensiero distratto ti divora, anima e corpo; si nutre delle tue incertezze.
Ti lasci inebriare dal suo profumo, ma solo per un attimo, perchè è talmente pungente l'aroma che ti pizzica le narici e ti riscuoti all'istante.
Pungono agli occhi le lacrime che non riesci più a trattenere. Non ti senti più padrone di te e desideri solo lanciarti, nel vuoto, sperando di riaprire gli occhi nel momento in cui qualcuno ha deciso, al posto tuo, solo quando non senti più il peso, opprimente, che ti schiaccia contro la terra ed il cuore riprende il suo battito regolare, non più vittima della morsa di quella dannata serpe che ora scivola via, ai tuoi piedi.

La osservi, perplesso, ma non stupito. E' parte di te, ma non sei tu, e vorresti purificare col fuoco quell'orribile serpeggiare, quel languido movimento che tenta ancora di impossessarsi di te.
Distogli lo sguardo, e fissi una nuvola in cielo, il bianco puro che dona una debole speranza di salvezza, eppure hai la certezza che la terra ti sta chiamando; i tuoi piedi già sentono l'inconfondibile formicolio, quel leggero fruscio, e lo sai, tornerai a guardare, lì, dove solo tu ti puoi salvare, dove solo le tue mani ti possono liberare di quell'irrazionale certezza che per volare bastano due ali.

T.M.

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