Il campo di confronto per nuove idee, dove i sogni si scontrano con la realtà e fanno crescere la speranza.
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mercoledì 23 novembre 2016
mercoledì 9 novembre 2016
Broken
è strana la sensazione quando
senti che qualcosa dentro di te si è rotto. Non ne sei del tutto consapevole,
eppure cominci a camminare come se le gambe non funzionassero veramente, e non
ti portassero dove vuoi tu. La testa non va nella direzione dei tuoi pensieri e
i tuoi pensieri partono per la tangente, abbandonando ogni logica. Quando
qualcosa ti si rompe dentro, ti sembra di rimanere in sospeso nell'aria,
galleggiando in attesa di affondare, con uno stato di terrore latente che ti
pervade, eppure conservi un'apparente tranquillità che ti rende nervoso, arrabbiato
con il mondo intero; ma è tutto nella tua testa, e te ne rendi conto solamente
quando vedi che, intorno a te, nessuno nota nulla di strano, mentre tu senti
una tempesta che si avvicina, anzi, è già lì, e con il suo rumore assordante
copre ogni altro suono, copre ogni tuo pensiero, e raffredda ogni tua
emozione.
Quando qualcosa dentro di te si rompe puoi ancora camminare, perchè sai di
dover camminare, perchè il vento ti spinge, seppur in ogni direzione, ti lancia
attraverso la folla rischiando di farti travolgere, e mentre tu tenti di
mantenere la rotta ti rendi conto che i tuoi piedi non fanno più presa sotto di
te, e la fragile inconsistenza del tuo percorso si fa sempre più terrificante;
come una lastra di ghiaccio che scricchiola ad ogni passo, ed ogni scheggia che
salta ti mette in allerta, ma non sai come fermarti, non sai dove
aggrapparti.
Poi esce un suono, e ti accorgi che è la tua voce. Calda, reale, quasi
consistente, le sue parole assumono di colpo una forma sensata e ti rendi conto
che le tue emozioni sono più chiare osservate ad una certa distanza, perchè le
tue parole delineano con un tratto più chiaro ogni loro sfumatura, e forse non
ti fanno più così tanta paura. La crepa da cui usciva tutto quel vento forse
non è poi così grande, e può persino essere riparata; ormai i tuoi occhi non
riescono nemmeno più a guardarci attraverso, ed il palmo della tua mano si
adatta perfettamente alla sua forma, tanto che con un solo tocco la puoi
coprire, calmando in un solo istante ogni tumulto che agitava il tuo cuore. In
quell'istante ti rendi conto che puoi tornare a respirare, non più annegato in
un mare d'insicurezza, ma baciato di nuovo dal sole di una nuova prospettiva
che ti era solo sfuggita di vista.
T.M.
mercoledì 27 luglio 2016
Mia cugina Rachele - Daphne Du Maurier
Ho iniziato questo libro all'oscuro di ogni informazione sulla scrittrice; certo conoscevo quello è che considerato il suo capolavoro, "Rebecca, la prima moglie", ma non ero al corrente di nessuna opinione in merito al suo modo di scrivere ed alla sua popolarità.
Inoltre mi sono approcciato a questa nuova lettura dopo un periodo di letture un po' deludenti, e quindi anche abbastanza timoroso di trovare qualcosa che non attirasse a sufficienza la mia attenzione; ma non appena ho iniziato il primo capitolo sono stato catturato da questo splendido romanzo. I personaggi, lo stile, l'ambientazione, l'intreccio, tutti gli elementi che lo compongono hanno risvegliato in me un interesse quasi ossessivo, ed è quindi diventata una di quelle letture che non puoi far a meno di abbandonare, che ogni volta che metti da parte non vedi l'ora di ritornare a recuperare per proseguire la storia.
La vicenda di Rachele ci fa pensare a qualcosa di abbastanza scontato, eppure man mano che si procede con la lettura emergono sempre nuovi elementi che mettono in dubbio quello che pensiamo di credere. Più la storia prosegue e più noi entriamo in un mondo dove i personaggi si scontrano e si fondono, si dividono e si ritrovano, appaiono furbi e poi indifesi, e di nuovo calcolatori, ma forse solo vittime delle emozioni; insomma questi personaggi ci fanno venire il dubbio che non sappiano nemmeno loro da che parte stanno, un po' vittime degli eventi e un po' architetti delle loro storie, come il progetto che viene messo in piedi per ridare un nuovo volto alla casa in cui vivono i protagonisti, una casa ricca di ricordi, eppure bisognosa di tante cure, una casa che vorrebbe restare bloccata nel suo passato ma che allo stesso tempo esige di proiettarsi verso un futuro nuovo, assieme ai suoi inquilini.
Ma come si suol dire, non è tutto oro quel che luccica, e basta mettere un piede in fallo per far crollare ogni apparenza, e ciò che poteva sembrare irrecuperabile diventa assolutamente possibile, come quello che poteva sembrare un veleno per l'anima può essere in realtà solamente un grande affetto a lungo rifiutato.
Questo libro mostra come possiamo credere di vedere ciò che vogliamo, anche quando è perfettamente evidente di fronte ai nostri occhi, l'unico problema è quando decidiamo di accettarlo, buono o cattivo che sia, affrontandolo di petto, senza mettere in mezzo nè il cuore nè la ragione.
Voto con un bel 10, mi sento veramente di considerarla una lettura magnifica.
My Cousin Rachel 1952 Trailer
martedì 7 giugno 2016
giovedì 2 giugno 2016
Il canyon delle ombre - Clive Barker
Ho resistito per 400 pagine, poi sinceramente è stato troppo per me. Nelle ultime 200 pagine ho saltellato qua e là (e credetemi che la comprensione del testo non ne ha risentito minimamente, un po' come quando si guarda "Beautiful" in TV e non si perde mai il filo della trama perchè comunque i personaggi non combinano gran che e la trama non procede così velocemente) arrivando alla fine e facendomi un'idea del procedere degli avvenimenti che concludevano questa storia tanto assurda quanto banale.
Il mio difetto è di non saper lasciare andare i libri quando non si meritano la giusta attenzione, intendo quando veramente ci si rende conto che non hanno il valore che ci si aspetta e non quando invece si è scelto solo il momento sbagliato per leggerli.
Non ho molte parole da spendere si questo libro, anche perchè credo ne abbia spese fin troppe l'autore per scriverlo, parole inutili che si poteva risparmiare, ed utilizzate nemmeno nel modo più brillante in cui si poteva farlo. Lo hanno paragonato a King, ma francamente anche il peggiore "King" che ho letto (e mi riferisco alla "Storia di Lisey", che stranamente in alcune parti mi ha ricordato questa trama) è stato molto più interessante di questo testo, soprattutto per il modo in cui era scritto, mentre qui si trovano una serie di banalità, un'accozzaglia di personaggi e di fatti, spesso slegati, a volte insignificanti, ma il più delle volte ridicoli.
Arrivato alla 400esima pagina l'assurdità degli eventi era arrivata ad un punto tale che non ho potuto non aprire gli occhi e dirmi che non si meritava dell'altro tempo da parte mia. Mi aveva prosciugato fin troppo.
Mi dispiace da un lato, perchè Barker non è un cattivo autore, ma in questo testo sembra essersi perso, e persino dove King si perde nei meandri della sua mente allucinata riesce comunque a mantenere una certa lucidità, per lo meno una coerenza d'insieme che determina un certo ritmo della storia, come una colonna sonora, che forse non giungerà mai ad una fine coerente, ma di sicuro ti accompagna alla conclusione senza deluderti troppo durante il percorso.
Voto con un 4.
T.M.
giovedì 26 maggio 2016
Ci sono momenti
Ci sono momenti in cui ci sentiamo invincibili, ma di solito durano poco, giusto il tempo di osservarci bene, e rivalutare la situazione. Questi brevi momenti però si lasciano dietro come una scia di profumo, qualcosa che ci rimane addosso, e della quale ci liberiamo con molta più difficoltà. E' forse la sensazione di aver trascurato un particolare, un dettaglio che probabilmente non era così insignificante. Perchè se osserviamo il soffitto della nostra stanza e riusciamo a vedere oltre, se riusciamo a sentire il profumo delle emozioni e ci lasciamo scuotere da queste, per quanto delicatamente, oppure violentemente a volte, significa che probabilmente un dono ce l'abbiamo, ed è il dono di sentire, quello che siamo e quello che vibra attorno a noi; è per questo che, magari anche solo per un istante, riusciamo a metterci in armonia con quello che ci circonda, ed in quel momento riusciamo a "capire", a vedere oltre, a dare valore a ciò che sembra insignificante, e quindi acquistiamo valore anche noi, diventando più forti, più sicuri, più decisi di quanto ci saremmo mai aspettati di essere. Ma se questo momento esiste davvero, se non l'abbiamo sognato, non ci abbiamo fantasticato, allora quando svanisce cosa dovremmo fare per tenerlo con noi? Assolutamente nulla. Perchè quel momento non se ne va, ma resta dentro di noi; quella sensazione deriva solamente dal fatto che abbiamo aperto gli occhi e ci siamo guardati effettivamente dentro.
T.M.
martedì 2 febbraio 2016
Elementi
Si compongono dentro la mia testa, come fossero piccole particelle di qualcosa che vuole assumere un'identità; crescono e poi spariscono, ma ritornano e si moltiplicano, come idee confuse attanagliano i miei sensi. Sono elementi di un presente che non riesco a codificare, strumenti sconosciuti di un'arte che mi dovrebbe appartenere.
Mi guardo volteggiare sopra l'insensatezza di tutte queste battaglie e non comprendo neppure più la necessità di far uscire queste parole che mi gelano il sangue, e quindi ammutolisco, nel vano tentativo di calmare questo vorticare di inutili luci che non fanno altro che creare ombre sulle mie certezze.
Osservo una spirale di ricordi che ormai non diventa altro che un feticcio inutile, tempo sprecato che scivola tra le pieghe di un presente stanco, pesante, dove i colori sbiadiscono sotto la luce della speranza.
Allora provo solo a guardare di fronte a me, l'immagine sfocata di quello che mi aspetta, con l'obiettivo di trovare un sentiero che mi allontani da tutta questa incertezza.
T.M.
lunedì 1 febbraio 2016
L'usanza del paese - Edith Wharton
Sono qui finalmente a parlare di questo romanzo che ha accompagnato molte delle mie serate ultimamente, e nonostante ritenga siano troppe nella media dei miei tempi di lettura abituali, posso solo incolpare me stesso e la poca costanza che ho messo nel proseguire abitualmente la lettura, ma per il resto il romanzo merita ogni istante che gli ho dedicato.
Se non sapessi che questo romanzo è stato scritto nei primi anni del novecento direi che rispecchia benissimo le situazioni che possiamo trovare comunemente nei romanzi di Candace Bushnell, come "New York sexy", sebbene innegabilmente scritto meglio, ammettiamolo, la prosa della Wharton non ha nulla di paragonabile a quella della Bushnell, per quanto anch'essa possa essere una brava narratrice. Resta il fatto che questa caratteristica ne fa davvero una lettura per tutti, anche per chi pensa che un romanzo dell'autrice di "L'età dell'innocenza" possa essere un obiettivo troppo alto; la Wharton è in grado di parlare a tutti, e lo fa in modo estremamente intrigante e seducente, nonchè splendido e raffinato.
L'autrice ci porta all'interno dei più bei salotti newyorkesi facendoci respirare l'aria snob che potremmo respirare ora in un qualsiasi attico della grande mela. E ci trascina poi nella pomposa Parigi dei primi del novecento, che poco si discosta dall'altezzosa metropoli che ci possiamo trovare di fronte ora. Insomma, sono luoghi "conosciuti" che ci fanno respirare aria di contemporaneità, sebbene la storia ci trasporti comunque in una dimensione parallela dove le usanze del paese sono "leggermente" diverse, ma non meno rigide di quelle che potremmo trovare ora.
Undine, la protagonista, si muove in ogni ambiente con un'apparente sicurezza che trasuda un costante terrore di apparire....nel modo sbagliato. Undine, un personaggio terribilmente ostinato, eppure con un fascino perverso; la sua figura ci ammalia non tanto per la sua bellezza quanto per la spudoratezza con cui si immerge in qualsiasi situazione mettendo davanti ad ogni cosa i propri desideri materiali, facendola apparire la cosa più normale che esista al mondo. Eppure Undine appare un personaggio estremamente fragile, ci sono momenti in cui la si vorrebbe proteggere, specialmente quando, in presenza del vecchio amico Elmer Moffat, abbandona ogni resistenza e si spoglia di ogni sua maschera per mostrare veramente il suo spirito dichiaratamente materialista. E' forse in questi momenti che la si apprezza meglio, perchè non mente a nessuno, soprattutto a se stessa, mentre nel resto del romanzo Undine appare come una persona che costruisce il proprio futuro sulle menzogne, quelle bugie che in qualche modo la possono rendere più affascinante agli occhi altrui, ma che invece a lungo andare non fanno che logorare il sentiero che ha deciso di percorrere, rischiando di farla precipitare nel bel mezzo del nulla che si è creata attorno.
Ci sarebbe da scrivere pagine e pagine su questo personaggio, ci sarebbe da dilungarsi sulla sfrontatezza che usa nei confronti dei propri genitori, oppure il quasi totale disinteresse nei confronti del figlio, oppure la freddezza con cui tratta ogni suo amante una volta ottenuto quello che credeva di desiderare. Insomma, Undine fa parlare di sè, anche quando si vorrebbe relegarla in qualche angolo nascosto dal quale non possa nuocere a nessuno, perchè questa donna riemerge ancora più forte di prima, perchè il suo ricordo, anche per chi l'ha solo intravista, non può essere cancellato; Undine è una donna che sa come far parlare di sè, e nonostante non si sia mai adeguata all'usanza del paese, nonostante abbia sempre fatto di tutto per comprenderla ma gli sia sempre sfuggito l'elemento essenziale che le permettesse di conciliare la sua vita con quella delle persone che le stavano attorno, alla fine questa donna non può far altro che accettare se stessa e prendere coscienza che solo nel proprio ambiente, e restando fermamente sè stessi, si può vivere, altrimenti si è sempre condannati a sopravvivere, perchè l'uomo non è un animale che sa adattarsi facilmente ai nuovi ambienti, soprattutto l'uomo Americano.
Voto con un 9,5 e lo consiglio a tutti, come una lettura spassosa, ma allo stesso tempo decisamente profonda.
T.M.
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