giovedì 6 marzo 2008

Ansia

Basi fisiologiche dell'ansia
L’ansia è un’emozione, una risorsa che nel corso dell’evoluzione il cervello ha sviluppato ed affinato nell’intento di proteggere l’individuo dalle minacce che il mondo esterno può sollecitare.
E’ quindi un sistema difensivo, e la sua funzione principale è di allertare una serie di circuiti che si sono andati perfezionando nei secoli, e di consentirci di reagire in modo appropriato.
Il sistema è molto complesso e prevede una reazione che è contemporaneamente fisica (la reazione tipica del gatto che vede il cane e sa di doversi difendere) e psicologica.
Recentemente le neuroscienze hanno permesso di “vedere dentro” il cervello e sono stati identificate, anche se ancora in modo impreciso, aree cerebrali, circuiti nervosi e biochimici che sovrintendono a questa delicata funzione.

Genetica dell'ansia
E’
assolutamente certo che l’essere umano erediti geneticamente gli strumenti che permettono al cervello, durante la vita fetale, di sviluppare in modo perfetto i sistemi di difesa che costituiscono la base biologica dell’ansia. Naturalmente questi sistemi di difesa non predispongono allo sviluppo dell’ansia patologica, ma esclusivamente alla salvaguardia dell’individuo dagli attacchi del mondo esterno che potrebbero mettere a repentaglio la nostra vita.
Nell’ansia patologica, specie per quanto riguarda il disturbo da attacchi di panico come anche il disturbo ossessivo compulsivo, non si esclude che si possa ereditare la cosiddetta “propensione al disturbo”, vale a dire imperfezioni nel corretto funzionamento di alcuni sistemi biologici (specie della serotonina). Ma ciò non significa che si eredita il disturbo: il cervello è un sistema plastico fortemente adattabile, e si possono creare nel corso della vita situazioni educative, ambientali sociali o culturali che attivano, in chi è predisposto, i sintomi dei disturbi d’ansia.

Differenza tra stato e tratto
Il cosiddetto “tratto ansioso” è una caratteristica della personalità di alcuni sogg
etti i quali tendono ad avere il sistema di difesa dell’ansia particolarmente marcato, tanto da vivere la maggior parte delle esperienze in modo preoccupato, agitato, inquieto, ansioso, appunto.
Costoro, in circostanze di maggiore rilievo emotivo, corrono quindi il rischio di rispondere con comportamenti esagerati, dispendiosi e spesso inutili alle sollecitazioni che vengono dall’esterno.
In questo caso si parlerà di “stato di ansia”

Ansia normale e ansia patologica

L' ansia è una risposta sostanzialmente fisiologica ad una sollecitazione interna o esterna che il cervello riceve.
La percezione che normalmente si ha dell'ansia è, nel linguaggio comune, di qualcosa di fastidioso, che procura disagio o addirittura sofferenza nell'individuo.
Ogni giorno almeno dieci persone ci rispondono alla fatidica domanda "Come stai?" con una risposta che ci fa capire che sono ansiosi.
"Sto correndo per non perdere l'autobus" ,

"Ho un appuntamento tra dieci minuti" ,
"Voglio arrivare in tempo per federe la partita" ,
"Scusa, ma mi chiudono i negozi" , oppure
"Domani ho un esame,
chissà…" .
Tutti questi nostri amici e noi stessi sappiamo che per realizzare tutte quelle cose abbiamo assolutamente bisogno di una spinta, di una sollecitazione che ci muove e ci fa selezionare gli stimoli con attenzione.
In realtà non potremmo vivere senza ansia: immaginiamoci ad attraversare la strada, ad aprire una porta in risposta al campanello, a prepararci per un esame.
Senza l'ansia tutti questi comportamenti non potrebbero prevedere la capacità d'adattamento per rispondere ad uno stimolo che compare,talvolta d'improvviso a modificare i nostri equilibri, mentre altre volte lo conosciamo in anticipo e dobbiamo solo organizzarci.

Esiste quindi una condizione connaturata con l'individuo, fatta di attese, di preparazione, di sforzo, che fornisce una risposta a ciò che internamente o esternamente ci sollecita.
L'ansia nasce quindi anche dai ricordi o dal
le emozioni, dalla elaborazione di quello che ci è successo in passato o che potrà accaderci in futuro.
E poi c'è quella forma di ansia del tutto sconosciuta e maldestra, che proviene dall'inconscio, che non sappiamo razionalizzare e che ci attanaglia perché sfugge ad ogni identificazione.
Paradossalmente questa condizione di tensione è quella che corrisponde all'equilibrio.
Non potremmo vivere senza questa situazione squilibrata di equilibrio.
Eppure il più delle volte non ce ne rendiamo conto:
ci aspetteremmo che il benessere venga dall'assenza di stimoli, mentre questa condizione ideale corrisponde solo alla "non esistenza" .
Il sonno stesso, ritenuto come una condizione di allontanamento dagli stimoli esterni, è invece un immenso crocevia di sollecitazioni inconsce e di elaborazioni necessarie per la vita della nostra esistenza.

Bisogna quindi effettuare una sostanziale divisione tra ansia fisiologica o normale e ansia patologica.
L'elemento che li distingue è la percezione che noi riceviamo dal cervello e dal corpo che lo stato di attesa è solo un punto di passaggio, un ponte capace di farci nuovamente reagire, che ci rende pronti ad una sollecitazione che ci stimola.
La differenza fondamentale tra la normalità e la malattia dell'ansia consiste quindi nella percezione di disagio che proviamo quando siamo di fronte alla tensione, alla preoccupazione, al malessere che sentiamo in assenza di stimoli esterni o interni.
È ansia quindi il sentirci pronti a reagire anche quando non avremmo motivo o bisogno di essere reattivi, quando siamo pronti a scattare e nulla ci allarma, quando proviamo una serie di segni fisici o psicologici anche se potremmo sentirci tranquilli e rilassati. E quando tutto ciò agisce dolorosamente sia su di noi che su quelli che a noi stanno vicini.
Negli ultimi 30 anni si è potuto verificare come almeno un terzo della popolazione mondiale ha avuto o potrà avere un disturbo d'ansia nella loro vita:si è sempre pensato che i traumi psicologici potessero essere all'origine dei disturbi d'ansia mentre ora sappiamo con certezza che , nella maggior parte dei casi l'origine dell'ansia va addebitata sostanzialmente
ad un disturbo, ad una malattia del cervello.
Quest'impostazione non esclude la compone
nte psicologica, né quella ambientale, sociale o educativa.
Andiamo incontro ad un'integrazione, in cui dovremo accettare che anche i disturbi psicologici, come quelli fisici sono il risultato di una d'integrazione tra il nostro corpo e la nostra mente.
L'ansia è dunque il crocevia tra come siamo fatti e come il mondo estremo interagisce con noi.
Il risultato è che non potremo mai sperare di vivere senza ansia per quanto le regole impegnative del mondo ci impongono degli adattamenti a cui tentiamo di opporre una resistenza: è proprio il risultato di questo sforzo che caratterizza il rischio di soffrire per l'ansia.

piccole solusioni.......per grandi problemi
I vari disturbi d'ansia
Come combattere l'ansia
www.ansia.it

mercoledì 5 marzo 2008

Fragile

Come ammettere la propria fragilità? In che modo uscure allo scoperto, guardare negli occhi la gente, ammettere che sei come loro, che vuoi lottare, ma ormai non puoi più?
Quando apri gli occhi e ti trovo solo con te stesso, quando tutti ti guardano, per aspettare che cammini, e non sono pronti ad aiutarti se cadi, perchè mai tu puoi cadere. Alzi gli occhi al cielo, e speri che almeno una stella ti risponda, guardi nel buio, scruti in quel fitto nero di egoismo, e scavi cercando uno spiraglio di luce, ma il tuo corpo si blocca, schiacciato dalla sofferenza, e vedi allontanarsi la speranza, intrappolato in quel groviglio di intenti, dove un flebile respiro è il tuo solo compagno, e aspetti, ricco di sguardi indifferenti, e piangi lacrime amare, che fanno appassire il tuo cuore dolente.

T.M.

lunedì 3 marzo 2008

The invasion

Difficile traduree in parole quello che ho provato guardando questo film. Forse sarebbe riassumibile in una sola: isterico. Fin dalle prime immagini il film appare assurdamente concitato, le sequenze si susseguono senza (o quasi) logica apparente, e lo spettatore si trova solamente a guardare parti di pellicola montate sperando di impressionarlo, ma che finiscono solo per annoiarlo. Ma quando finalmente l'azione prende il sopravvento, ecco che emerge la banalità dei personaggi, il loro assurdo spaesamente, che si legge benissimo come controllato, fa rimanere interdetto lo spettatore, il quale si vede un bimbo di 11 anni fare fantasmagorici scontri automobilistici con la madre, e ne esce assolutamente intatto e controllato, il tutto appare assurdamente inverosimile se non ridicolo, a partire da quando la nostra Nicole Kidman, tutta presa dal suo lavoro, stenta a rendersi conto di aver lasciato il figlio nelle mani sbaglaite, ma persegue nel vano (se non stupido e insensato) tentativo di capire cosa sta succedendo attorno a lei; e intanto il figlio scrive sms...
Da dove è uscito questo film? Neppure i B movie degli anni passati possono essere paragonati a questo squallore di montaggio e di recitazione; persino la carica della povera Nicole deve essre rivalutata, perchè non riesce a tenere testa ad un film che appare scontato e mal riuscito fin dai primi cinque minuti.
Voto con un 4, e anche se posso dire di non doverlo mettere agli stessi livelli di Frailty, questo film non vale la pena di essere visto.

T.M.

venerdì 29 febbraio 2008

The L word

The L Word è la serie televisiva - trasmessa con successo su La 7 - che esplora la vita, le amicizie e gli amori di un gruppo di lesbiche che vive a Los Angeles. Ampiamente discussa per i temi trattati e il modo di raccontare un mondo apparentemente distante, ma allo stesso tempo intrigante e attraente. Dopo Sex and the city, con The L Word l’universo femminile non ha più segreti! Un mondo complesso e ramificato quello delle donne, tanto che risulterebbe fuorviante e semplicistico dividerlo in “lesbo” ed “etero”. Ecco che per gli autori di L Word diventa una necessità metterlo in mostra nella sua interezza e nelle sue interazioni, a partire dall’emblematico gioco di parole del titolo della serie tv, dove la “L” sta per Lesbian, ma anche per Love, Lies, Los Angeles, e...
Piace, piace molto anche in Italia: dopo i successi in Usa, l'approdo in chiaro su La7 di The L Word, serial lesbico lanciato dal canale Showtime nel gennaio 2004, è stato un trionfo. I motivi del successo saranno gli stessi d'oltreoceano? Secondo una ricerca commissionata dalla produzione, il pubblico americano s'è affezionato alla serie per diverse ragioni: gli uomini vi si avvicinano per curiosità, per poi lasciarsi coinvolgere dalle appassionanti vicende; le donne sono invece conquistate dal lato sentimentale del telefilm e sono orgogliose della libertà espressa dalle attrici del cast. A torcere il naso sono state invece alcune associazioni lesbiche che hanno accusato la serie di offrire una rappresentazione distorta del loro mondo, con donne eccessivamente belle ed eleganti scelte proprio per solleticare i desideri del pubblico maschile. Ecco un glossario ragionato per orientarsi tra i molti personaggi.

ALICE
Alice Pieszecki è uno dei personaggi più sbarazzini della serie. Bionda, bisex polarizzata lesbo, sguardo tenero che fa capitolare le ragazze convinte di trovarsi di fronte a una preda facile. Solare ed estroversa, dice sempre quello che pensa. Torna a legarsi con una sua ex che in passato l'ha fatta soffrire non poco, Gabby (Guinevere Turner). Alice è interpretata dall'eclettica Leisha Hailey, attrice e musicista, salita negli anni '90 alla ribalta delle cronache mondane perché fidanzata di k.d. lang.

BETTE
Grazie al suo fidanzamento settennale con Tina forma la coppia più solida e ammirata della compagnia, un po' il cuore pulsante intorno a cui ruotano tutte le altre vicende. Cerca disperatamente un donatore di sperma per la sua compagna. Benestante, direttrice d'un museo, è uno dei personaggi più equilibrati e amorevoli. A interpretarla la splendida Jennifer Beals di Flashdance.

CARMEN
Personaggio che si sviluppa soprattutto nella seconda serie, Carmen de la Pica Morales (Sarah Shahi, di origini maya) è una d.j. part-time che s'innamora della parrucchiera sexy Shane, ma ben presto resta infatuata di un'altra ragazza che conosce in discoteca.

DANA
Tennista professionista, è la più sportiva del gruppo. Ruvida, spesso isterica, sottilmente eterofoba, cerca di nascondere il più possibile le inclinazioni sessuali temendo di perdere gli sponsor.

ETEROSESSUALI
Ben pochi nella serie che è strictly dyke: ricordiamo Tim Haspel (Eric Mabius), il bel fidanzato di Jenny, che si eccita facendosi raccontare le imprese di voyeuse lesbica di quest'ultima. Quando le chiede di sposarlo la manda in crisi (e in pratica tra le braccia di Marina).

FRANCESCA
È il personaggio che dà uno scossone alla storia tormentata tra Jenny e Marina legandosi a quest'ultima. Interpretata dalla sensuale Lolita Davidovich, Fran Wolff sembra dare tranquillità alle burrasche sentimentali di Marina, ma anche questo rapporto mostrerà presto la corda.

GUEST STARS
Molte, visto che le star hollywoodiane fanno la fila per apparire: dalla prima serie ricordiamo Rosanna Acquette, Julian Sands e Anne Ramsay.

HELENA
È colei che farà deflagrare la relazione tra Bette e Tina, invaghendosi (corrisposta) di quest'ultima nella seconda serie.

IVAN
È il drag king (donna che realizzata show vestita da uomo) che fa capitolare Kit. La interpreta Kelly Lynch, la splendida Dianne di Drugstore Cowboy.

JENNY
Jenny Schecter (Mia Kirshner) è il personaggio bisex più torturato del serial, diviso da due amori opposti e laceranti, il fidanzato Tim e la magnetica Marina. Scrittrice di talento, si è trasferita a Los Angeles col suo ragazzo nella casa adiacente a quella di Bette e Tina.

KIT
Sorellastra musicista di Bette, con cui ha un rapporto conflittuale, è interpretata dall'indimenticata panterona Pam Grier. L'alcol è il problema principale del personaggio, e le causa non poche difficoltà lavorative. È una delle poche eterosessuali del serial ma inaspettatamente sarà travolta da un'appassionata sbandata per il drag king Ivan.

SHANE
È il personaggio più butch, adora vestire di nero con accessori dark. Fa la parrucchiera ed è una vera divoratrice di femmine. La interpreta Katherine Moennig, cugina di Gwyneth Paltrow.

TINA
Compagna di Bette da sette anni, desidera ardentemente avere un figlio e dopo vari tentativi falliti riesce a rimanere incinta.



Contatto

A volte si cerca di avere troppo da una persona, a volte si da troppo poco. Molte volte si guardano gli sbagli ma non ci si accorge dei propri. Troppe volte si cammina sulla propria strada, ma non ci si accorge quando qualcuno vorrebbe fermarci, e prenderci la mano, per proseguire con noi. Quasi sempre ci abbandoniamo, nella buona e nella cattiva sorte, ma non sappiamo uscire poi dai nostri sbandamenti.
Le persone amano perdersi, ritrovarsi, amano vagare alla cieca, ed allungare le mani, sperando di afferrare sempre nella vita la cosa migliore, ma con la paura di guardarla realmente negli occhi, perchè sarebbe troppo importante scegliere, e quindi è meglio vagare, girare, cambiare, tornare.
Se nella nostra vita sbattiamo contro tante persone, e tutte queste persone sbattono a loro volta tra di loro, come facciamo a sapere quando dovremmo allungare la mano anche noi? Afferrare quell'attimo, quello giusto, quando quella mano è pronta per prendere la nostra? Come facciamo a controllare il caos che governa attorno a noi, quel caos che ci affascina e che allo stesso tempo ci spaventa, quando ci si trova immersi nel rumore, nei corpi, nei suoni, nei profumi, e tutto sembra vita, ma niente lo è veramente, a parte quel tocco, quell'immacolato tocco che la nostra mano freme nell'attendere. Quando?

T.M.

mercoledì 27 febbraio 2008

"Weeds": casalinghe disperate al cubo

Verrà un momento in cui ne parleranno tutti, ma chi siamo noi per aspettare che i settimanali e i quotidiani "trendy" se ne accorgano? E siccome abbiamo un po' tutti la digestione facile, sappiamo già che affermeranno di trovarsi al cospetto del "nuovo Desperate Housewives", perché ci sono le casalinghe, c'è la periferia, ci sono i segreti e i pettegolezzi tra vicini di casa. Chiariamo subito: capolavoro. Standing ovation.
Se vi è piaciuto "Desperate Housewives", beh, questo è DH³, "Desperate Housewives" al cubo. Anzi, a volerla proprio dire tutta, la serie ideata da Marc Cherry, paragonata a "Weeds", è come un Bitter Sanpellegrino rispetto a un Pampero Reserva especial. Però "Desperate Housewives" va in onda sulla ABC negli States, e sulla Rai e Fox in Italia; "Weeds" su Showtime, canale via cavo all'inseguimento di HBO (il quale, essendo allo stesso modo a pagamento e via cavo, si è potuto permettere di produrre, negli scorsi anni, perle per palati abituati all'acqua frizzante come "Sex & the City" e "I Soprano").
E insomma, tutto fantastico: peccato che - malgrado sia già stato opzionato - in Italia non lo vedremo mai. Forse sul satellite. Forse in seconda serata. Forse su un canale tipo
Jimmy, tra i pochi che ha il coraggio di non mandartele a dire (per quanto dal momento in cui hanno fatto la loro apparizione Fox, Fox Life e Fox Crime è un po' come se la Mecca delle serie televisive abbia traslocato e a Jimmy siano rimaste quel po' di serie con le palle che nessuno ha il coraggio di trasmettere).
Beh, se nessuno si azzarderà a mandare in onda "Weeds" di motivi ce ne saranno più d'uno: ad Agrestic, una Milano 2 in cui le case sono tutte uguali come solo Tim Burton potrebbe immaginarle, Nancy (Mary Louise Parker), casalinga rimasta vedova, per continuare a campare diventa imprenditrice di se stessa e inizia a spacciare Marijuana sotto gli occhi inconsapevoli delle mamme dei compagni di classe dei due figli e dell'amica Celia (Elizabeth Perkins), ossessionata dall'obesità della figlia noveenne.
Vi raccontiamo tre scene e poi vedete un po' voi se riuscite ad immaginarvele con il logo di una qualsiasi emittente nostrana sovrapposto in basso a destra.

Nella prima, Celia è preoccupata che la figlia quindicenne abbia deciso di fare il grande passo e concedersi al figlio di Nancy, suo coetaneo. Per spiarla nella propria cameretta decide di regalarle un orsacchiotto rosa che nasconde una telecamera. Recuperato l'orsacchiotto, Celia lo collega alla televisione e scopre che la figlia aveva nasato l'inghippo: prima che la pargola le mostri il ditone accompagnato da un sentito "Fuck you", è costretta a prendere atto della propria cornificazione visionando l'amplesso del marito in compagnia dell'amante. Celia non si scompone più di tanto e commenta tra se e se: "Avrei dovuto abortirti".
Scena seconda: due personaggi maschili (il fratello e un cliente di Nancy) sono seduti ai due estremi di un tavolo da caffé e stanno commentando
"Incredaholes", un reality sexy particolarmente trash. Discutono un particolare importante: "Tu come la chiami la zona che va dallo scroto al buco del culo?" - "Autostrada". - "Ma no, si chiama ‘la macchia’" - "Ti dico ‘Autostrada’" - "No: ‘la macchia’". In quel momento entra la donna di servizio, e decidono di coinvolgerla nella discussione: "Ehi, Lupita, tu come chiami la zona che va dal pisello al buco del culo?". E lei: "Tavolino da caffè".
Ciak tre: il figlio quindicenne di Nancy crede ad un amico ubriaco che gli racconta le prodezze orali di Megan, una ragazza sorda. La incontra ad una festa mentre, appartata, è impegnata nella realizzazione di un murales. Si accerta che sia veramente sorda poi, a gesti, le fa capire che vorrebbe provare la specialità di casa. La ragazza sorride, si mette in ginocchio, tira giù la zip dei jeans di lui, osserva con curiosità per qualche secondo poi, prima di scappare via, va di bomboletta spray blu sulle parti basse. I boxer finiscono nella cesta della biancheria sporca di casa e la governante Lupita cerca in tutti i modi, ma senza successo, di eliminare la macchia. Alla festa successiva il figlio di Nancy si presenta armato di una bomboletta spray e conquista Megan scrivendo su un muro:
"Mi dispiace... La mia domestica crede che mi sia inchiappettato un Puffo".

Innamoramento e amore

Quando ci innamoriamo, per molto tempo continuiamo a dire a noi stessi di non esserlo. Passato il momento in cui ci si è rivelato l'evento straordinario, noi ritorniamo nella vita quotidiana e pensiamo che sia stato qualcosa di effimero. Con nostra meraviglia però ci ritorna in mente e crea un desiderio, uno struggimento che si placa soltanto sentendo la voce o rivedendo quella persona. iuta poi scompare ancora, diciamo a noi stessi che era una infatuazione e che non ce ne importa nulla. Se però quel desiderio riappare, e riappare di nuovo e ci si impone, allora siamo innamorati.(...) Quando siamo innamorati non possiamo raggiungere e tenere lo stato di tranquillità serena. Il nostro amore non è nelle nostre mani, ci trascende, ci trascina e ci costringe a mutare. Per riuscire a trasformare questa cosa in serenità quotidiana occorre distruggerla. E molte persone, uomini e donne, non hanno pace fino a che non hanno trasformato l'essere splendente del loro amore in qualcosa di controllabile, circoscritto, definito. Tutto ciò che serve per raggiungere l'amato e farsi amare da lui è essenziale. Il resto non conta nulla. E' molto bello mangiar bene se fa piacere all'amato, ma da soli non ce ne importa nulla. Per incontrare lui, per stare con lui, siamo disposti a fare viaggi più faticosi, a non mangiare e a non dormire, e non ci costa fatica, anzi siamo felici e tutte le cose che nella vita quotidiana ci sono insopportabili le facciamo senza accorgercene. Ciascuno dà secondo le sue possibilità e ciascuno riceve secondo i suoi bisogni. Non c'è nessuna contabilità fra ciò che do e ciò che ricevo. Ciascuno fa all'altro dei doni: le cose che gli sembrano belle, qualcosa che parli di sé, che lo ricordi all'amato. Ma anche cose che piacciono all'altro, che l'altro ha nominato o ha guardato. Il dono spesso è un atto improvviso, un gesto spontaneo che simbolizza il dono di sé, la propria disponibilità, totale. Ma il dono non aspetta un altro dono, non aspetta di essere ricambiato. Facendo il dono il conto è subito pari: basta che l'altro lo apprezzi, che sia contento. La gioia dell'altro vale più di qualsiasi oggetto. Così fra i due c'è un farsi dei doni, ma senza scambio. Quando incomincia una contabilità dei doni, un "io ti ho dato e tu no" allora l'innamoramento sta per finire. Quando ciascuno esige contabilità, del dare e dell'avere, allora è finito completamente. (...) Quando una persona si innamora di un'altra suscita sempre in lei un risveglio, una, emozione. Chi ama tende a trascinare l'amato nel suo amore. Se anche l'altro è disposto all'innamoramento ne può nascere un incontro e addirittura un innamoramento.
Può però avvenire che l'altra persona abbia già qualcuno che le interessa ed allora la poesia d'amore dell'innamorato risveglia sì il suo amore, ma per l'altro. Essa viene trasportata su un piano superiore di sentimenti, ma il destinatario di questi sentimenti non è chi li ha evocati. (...) Anche se lo si desidera intensamente, non ci si può innamorare. Però, se lo si vuole, si può fare innamorare qualcuno di noi perché si trova sempre chi è preparato all'innamoramento, pronto a gettarsi nel tutto e nel nulla di una vita nuova. Ciò è possibile se, nel momento adatto, una persona si presenta a lui mostrandogli che lo capisce in profondità,, se si dichiara disposta a condividere con lui il rischio del futuro restandogli accanto spalla a spalla, dalla sua parte, per sempre.
Qualunque persona può far innamorare un'altra che attendeva la chiamata se gli fa udire la voce che lo chiama per nome e gli dice che il suo tempo è venuto. (...) L'innamoramento è un succedersi di prove. Innanzitutto quelle che poniamo a noi stessi. Essere innamorati è anche un resistere all'amore, un non voler cedere al rischio esistenziale del mettersi completamente nelle mani dell'altro. Noi perciò cerchiamo la persona amata, ma desideriamo anche di farne a meno. Spesso, nei momenti di felicità, ci diciamo "ecco che ho raggiunto il massimo che mai potrò ottenere, ora posso perderla e tornare così come ero portandone con me solo il ricordo; ho ottenuto quanto ho voluto, ora basta". Ottenere il massimo possibile e poi farne a meno, questa è la fantasia della sazietà. In un certo senso riusciamo ad abbandonarci totalmente solo perché pensiamo che quella sia l'ultima volta. In tal modo però ci mettiamo alla prova perché, dopo il distacco, ci accorgiamo che il desiderio ritorna e che continuiamo ad amare, a desiderare disperatamente e abbiamo bisogno di un'altra "ultima volta". E l'ultima volta" diventa così un nuovo inizio e la necessità di un nuovo inizio. Negli atti dell'altro cerchiamo le prove che ci ama.; prima che sulle margherite, il "m'ama, non m'ama" è cercato nei comportamenti dell'altro: "se fa così vuol dire che... se non fa così vuol dire che..." Ma il significato non è mai limpido. Può arrivare in ritardo trafelato, e cosa significa? Che si era dimenticato di me oppure che ha fatto fatica ad arrivare da me e perciò il suo ritardo è una prova d'amore? D'altra parte, anche quando la prova è negativa basta una sua spiegazione, un suo sguardo, una sua carezza per farcela dimenticare, per rassicurarci. (...) Se la gelosia appare nell'innamoramento, allora significa che uno dei due, in realtà, non vuol innamorarsi o non è innamorato. La gelosia è scoprire che l'amato dipende, per la realizzazione dei suoi desideri, da qualcosa che un altro possiede e noi no; che l'altro, non noi, dispone di qualcosa che ha valore per lui. Se questo qualcosa per lui è importante e se quella persona gli è indispensabile, se preferisce lui a me, allora vuol dire che non mi ama. Avrà affetto per me, tenerezza, gli piacerà la mia compagnia, ma non mi ama. L'innamorato, dapprima cercherà di lottare, di conquistarlo col fascino, col canto, con ogni cura e dedizione, cambiando se stesso in ogni modo ma, quando ha capito che l'altro non l'ama, non può che impugnare la spada del distacco. La forza che gli resta gli consente di tagliarsi le mani che si protendono verso l'amato, di accecarsi gli occhi che lo cercano ovunque. A poco a poco, per non desiderare chi ha amato, dovrà trovare in lui ragioni per disinnamorarsi, dovrà cercare di rifare ciò che ha vissuto investendo di odio tutto ciò che è stato. L'odio sarà il suo tentativo di distruggere il passato, ma è un odio impotente. (...) Come facciamo a sapere che siamo innamorati ? Perché ci innamoriamo di nuovo, perché ci ri-innamoriamo continuamente della stessa persona. Quando siamo innamorati ci sono dei periodi in cui abbiamo l'impressione che non ci importa nulla di quella persona. Vogliamo farne a meno, talvolta la incontriamo e non ci dice nulla, ci è indifferente. Poi ci riappare. Quel viso indifferente diventa l'unico viso, quella voce l'unica voce; la sua mancanza diventa intollerabile, la sua presenza una gioia infinita. Tutto di lei ci commuove, tutto di lei è nostalgia e appagamento. (...)

Francesco Alberoni

sabato 23 febbraio 2008

L'Astrologia

Fin dalla più remota antichità è nota l'azione della luna sulle acque, per esempio nelle maree. Le acque appartengono al mondo minerale, ma l'uomo ha sempre tenuto conto delle influenze degli astri anche sul regno vegetale e animale.
Tra le rovine di Ninevak, in Mesopotania, sono state trovate delle tavolette che mostrano come l'astrologia abbia conosciuto un periodo di grande splendore già nel VII secolo a. C.. Esse riassumono conoscenze molto antiche, risalenti fino all'epoca dei re assiro Sargon il Vecchio, quando i sapienti di corte avevano scoperto delle coincidenze fra determinate configurazioni planetarie e il diffondersi di alcune malattie.
Secondo alcuni, i sacerdoti-astronomi caldei, antichi saggi della Mesopotamia considerati i padri del- l'astrologia, furono i primi ad associare medicina e astrologia. Essi studiavano il Sole, la sua influenza sulle forze vitali e sul mondo vegetale; studiavano la Luna, le sue fasi e il suo influsso sulla germinazione e sulle acque; osservavano il cielo e coglievano erbe e radici medicinali secondo le sue configurazioni. Questi astronomi collegarono pianeti e qualità di erbe, che dovevano essere colte in momenti specifici, sempre secondo calcoli riferiti al cielo, e che venivano poi usate nella cura di malattie di cui il pianeta correlato era considerato il responsabile. I caldei furono i primi ad eseguire uno studio sistematico dei pianeti e delle stelle, annotandone ogni spostamento e mettendo a punto il sistema usato ancora oggi, che comprende anche delle leggi che possono prevedere gli effetti degli astri sull'uomo e sulla vita del nostro pianeta. Essi studiarono anche le correlazioni tra il moto dei corpi celesti e l'insorgere di malattie sia nei singoli individui che in forme epidemiche. Queste conoscenze davano grande potere ai sacerdoti e al sovrano, che era l'unico a poter avere auspici personali, oltre a quelli utili per il governo e la cosa pubblica.
Molti altri popoli, quali ad esempio fenici, persiani, israeliti, ebbero grande considerazione per il Sole e la sua potentissima influenza. In Egitto, già in epoca prefaraonica, più di 5000 anni or sono, i sapienti erano astrologi, sacerdoti e medici allo stesso tempo, in quanto tutte e tre queste discipline si occupavano di tutelare la qualità della vita e il benessere dell'uomo e studiavano il cielo per trarne informazioni e previsioni.
Gli egiziani adoravano il Sole sia nella sua forma materiale che come entità divina, con i nomi di Ra e Amun-Ra. Un antico papiro definisce "Il Sole, dominatore fisico del firmamento, dominatore spirituale e ideale di tutto l'universo e, come tale, re di tutti gli dei". L’astrologia medica era particolarmente considerata e applicata in Egitto, dove era governata dal dio Toth, padre delle arti e delle scienze.
In base ai suggerimenti degli astri, i medici-sacerdoti diagnosticavano, stabilivano le cure e gli eventuali interventi chirurgici, nonché i momenti più adatti per iniziare le cure o per operare. Essi avevano a disposizione una vastissima gamma di rimedi ricavati dai tre regni della natura, tutti minuziosamente classificati in base alle proprietà siderali e terapeutiche. Le ricette erano tenute rigorosamente segrete e rivelate unicamente a sacerdoti e iniziati, quindi, nel tempo, questo patrimonio di conoscenza è andato quasi completamente perduto. Dalla Mesopotamia e dall'Egitto l' astrologia medica, insieme a ogni altra conoscenza, si diffuse in tutto il mondo allora conosciuto ed ebbe il suo massimo sviluppo in Grecia, dove grandi studiosi e filosofi, quali Eraclito, Empedocle e Pitagora, si occuparono di cercare la logica e l'armonia celata nei rapporti tra uomo e cosmo. La cultura ellenistica perfezionò l'astrologia medica e la inquadrò in un sistema che è giunto intatto fino ai tempi nostri. Ippocrate (460-377 a.C.), il grande medico considerato il padre della medicina, seppe equilibrare in questa scienza la teoria e l'osservazione; egli credeva nella diagnosi astrologica e sosteneva l'importanza dell'ali- mentazione per la salute.
Sua è la frase: «Che le vostre medicine siano i cibi, che i cibi siano le vostre medicine» e ha anche detto: «Chi ignora l'astrologia non deve essere considerato un medico, ma un idiota». Va ricordato anche il medico e farmacologo Galeno, che per oltre mille anni fu figura dominante nelle arti mediche e che ancora oggi è seguito. Egli sosteneva che: «Lo stato del cielo, la stagione dell'anno, la regione o il paese in cui ci si trova» devono essere tenute presenti quando si fa una diagnosi e si stabilisce una terapia. Galeno mise a punto un sistema per predire il decorso e l'esito di una malattia per mezzo di dati astronomici.
Nell'antica Roma la medicina era considerata una professione indegna e i medici erano guardati con di- sprezzo, ma Galeno riuscì non solo a farsi accettare, ma anche ad imporre se stesso come personaggio influente e la medicina astrologica come pratica importante. Nello stesso periodo il grande matematico, astronomo e astrologo Tolomeo insegnava alla scuola di Alessandria e non è escluso che Galeno sia stato suo allievo. Già nel 140 d.C. Tolomeo sosteneva che per diagnosticare e trattare ogni malattia bisogna tenere conto della carta del cielo, della stagione e del luogo. Egli compilò il Tetrabiblos, fondamentale trattato, considerato la Bibbia dell'astrologia, che è alla base delle conoscenze moderne. Il poeta romano Manilio (I secolo d.C.) ha formulato la teoria dell'uomo zodiacale, ha cioè associato ogni parte anatomica del corpo umano a un segno dello zodiaco. Gli oroscopi così tracciati indicavano le condizioni di salute e le abitudini personali dell'individuo. Tra i primi detrattori dell'astrologia possiamo annoverare Carneade (220 a.C.), Cicerone e Lucrezio. Essi disconoscevano qualsiasi fondamento alla pratica astrologica, soprattutto in virtù del basso livello praticato nella società romana da alcuni astrologi. Con i cristiani questa scienza fu nuovamente presa in considerazione, grazie alla lettura dei presagio della nascita di Gesù, alla Cometa e ai Magi, pure legati alla sua venuta. Ma alti e bassi continuarono e con la caduta dell'impero romano l'astrologia declinò.

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